Ultimamente la parola matrimonio ha fatto spesso capolino sulle prime pagine dei giornali. Pare ci si debba preoccupare se due persone che si amano decidono di formalizzare il proprio rapporto e corredarlo da vincoli legali. Non comprendo come amore possa essere sinonimo di problema ma andando indietro nel tempo, direi che gli esseri umani hanno sempre avuto un rapporto conflittuale con tale lemma. Oggi sono le unioni tra persone dello stesso sesso, ieri erano i matrimoni interraziali e prima ancora temo potrei scoprire che dessero fastidio quelli tra persone di nazionalità differenti o di città troppo distanti. Follie del genere umano.
Tornando al nostro parallelismo tra il presente e il passato, molti di noi forse non sanno che una delle sentenze usate per convincere la Corte Suprema Americana a riconoscere i matrimoni gay è stata Loving vs. Virginia che nel 1967 pose fine ai limiti legali alle unioni interraziali.
I coniugi Loving, nati e cresciuti nella contea di Caroline (Virginia) – una comunità apparentemente integrata in cui tutti, uniti dal comun denominatore della povertà, si aiutavano indipendentemente da credo, colore della pelle, e origini varie – erano giovani, innamorati e in attesa del loro primo figlio quando decisero di sposarsi a Washington DC. E quest’ultimo era un dettaglio di non poco conto. Nello stato della Virginia, infatti, all’epoca (erano gli anni ’50) il matrimonio tra Richard (bianco come un cencio) e Mildred (di origini afroamericane) era illegale e considerato contro natura, “altrimenti Dio non avrebbe creato le razze ponendole in continenti differenti”. Ohibò. I due furono quindi condannati ad un anno di prigione o all’esilio per 25 (!) anni.
Rimanere lontani dalle proprie famiglie per un quarto di secolo era cosa inaccettabile e dolorosa per entrambi così la dolce e fragile Mildred un giorno, a cinque anni dalla sentenza, decise di scrivere una lettera che cambiò per sempre la vita sua e di molti altri.
La storia d’amore dei signori Loving è radicata nella cultura americana, è citata in canzoni e ballate, ed è stata oggetto di un documentario nel passato recente che ha attirato l’attenzione dei produttori del film presentato in questo caldo lunedì di maggio a Cannes 2016.
Loving è la nuova fatica di Jeff Nichols che concorre per la Palmarès e, dati gli applausi insistenti (sino ad ora mai uditi), il regista di Midnight Special (in concorso a Berlino solo pochi mesi fa) ha la possibilità di rincasare con un premio o una menzione. La sua pellicola è delicata, mai urlata o violenta, ci tiene sulla corda pur sapendo cosa accadrà ai protagonisti. La macchina da presa si sofferma su piccoli ma fondamentali dettagli, sugli sguardi, i pensieri e i dolori non detti. Le parole sono misurate e scelte con cura. Alla fine, il disagio provato da Mildred è un po’ anche il nostro e la invidiamo per quel marito che nella sua semplicità la amava da impazzire e pensava solo a prendersi cura di lei.
Quello su grande schermo è il caso di una coppia riservata, che non inseguiva la notorietà, colpevole di amarsi nel momento e nel luogo (!) sbagliato. Nonostante le ripercussioni epocali del caso, molti di noi sino a poche ore fa non avevano idea dell’importanza del cognome Loving. Ci pensa il lungometraggio di Nichols che, ben lontano dal voler essere una docu-fiction o un reportage, ci regala un’opera di finzione senza sbavature in cui le atmosfere e i sentimenti sono ricreati con tocco gentile e incorniciati da una fotografia che contribuisce ad amplificare le emozioni.
Loving ci tiene attenti, ci fa soffrire, dispiacere e sul finire pure piangere. Perché pur essendo una vicenda del secolo scorso, ci fa realizzare che di amore in giro ne è rimasto ben poco.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”