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© FDC / Philippe Savoir (Filifox)

Il secondo giorno di Festival o, forse, dovremmo dire il primo a pieno regime, è stato dominato dalla parola CRISI. Ogni sezione ha avuto le sue crisi, tutte diverse, tutte immense, tutte toccanti. Abbiamo dovuto fronteggiare crisi di coppia, famigliari, esistenziali.

Partiamo dal Fuori Concorso, dove Jodie Foster è riuscita a strabiliare un pubblico di critici agguerriti, pronti a non perdonarle una trama “impolverata”, una storia carica di cliché, una narrazione “classica”. Il suo Money Monster, con George Clooney e Julia Roberts, invece, è un thriller solido e tesissimo, che attira lo spettatore nella sua tela sin dalle prime inquadrature e non lo lascia andare sino ai titoli di coda. La Foster dimostra di sapere bene cosa vuole e come ottenerlo e, con un montaggio che si è aggiudicato non pochi elogi, ci conduce in uno studio televisivo per mostrarci l’infame macchina mediatica e gli effetti devastanti sul sistema nervoso di un singolo individuo in crisi, un investitore furibondo a caccia di giustizia.

Cannes 2016: una scena di Personal Affairs - Photo: courtesy of FDC

Una scena di “Personal Affairs” – Photo: courtesy of FDC

In Un Certain Regard è stata, invece, l’opera prima di Maha Haj, dal titolo Personal Affairs, a portarsi a casa un applauso convinto. Il dramma dei membri di una famiglia di Nazareth ci cattura con la sua semplicità, con la sua umanità, con i difetti dei suoi personaggi, con il suo mostrare un quotidiano fatto di solitudine e assurdità. Stritolato dalla routine e dalla noia, ogni famigliare ha le proprie piccole/grandi crisi e nessuno è felice. Le dinamiche del silenzio sfiorano il grottesco e le ribellioni sono talmente infantili da farci tenerezza. Con grande attenzione alla luce, alla fotografia, alle inquadrature, il dolce lungometraggio dalla regista israeliana sfiora con grazia annosi problemi e ci regala momenti squisitamente ilari.

Nel Concorso, invece, dopo lo scandalo mattutino di “Rester Vertical”, è Ken Loach a strappare le lacrime a una platea cosmopolita e variegata. Parlando della crisi di una persona, il suo I, Daniel Blake, in poche battute si è insinuato sotto la nostra pelle e, in un lento ed inesorabile crescendo, ci ha straziato il cuore. Impossibile per un Europeo non versare lacrime. La parabola di Daniel, la sua disperazione è un po’ anche la nostra, la conosciamo bene perché è ovunque intorno a noi e domani potrebbe travolgere chiunque: è la Crisi, quella economica, quella vera, quella che ha stritolato il ceto medio e l’ha ridotto in miseria, ad essere la vera protagonista. È la lenta perdita di dignità, è la disperazione di coloro che sono diventati gli ultimi ed ora vengono (s)finiti da un sistema che dovrebbe aiutarli. La pellicola di Loach è amarissima e commuove inaspettatamente tutti i presenti in sala. Ci vuole poco a perdere ogni cosa, ad affondare sino al punto di non ritorno e a perdere lo status di uomini.

Vissia Menza

Una scena di "I, Daniel Blake" - Photo: Joss Barratt

Una scena di “I, Daniel Blake” – Photo: Joss Barratt

n.d.r. ultimo aggiornamento il 13 maggio alle 14:55, link alla recensione del film I, Daniel Blake in Concorso a Cannes 2016