La Berlinale ha una sezione dedicata ai classici che ogni anno riporta su grande schermo film del passato che stavamo perdendo per sempre. Un lavoro possibile grazie alla cooperazione tra tante cineteche e istituti. Nel 2016 dobbiamo ringraziare la fondazione Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung, Bertelsmann, i fondi federali e pure a un’organizzazione no-profit, se abbiamo potuto ammirare la versione restaurata e riversata in digitale di una vera e propria pietra miliare della settima arte: der müde Tod (Destino) di Fritz Lang, l’opera inaugurale di Berlinale Classics 2016.
Frizt Lang è considerato uno dei padri del cinema, addirittura, una volta Godard lo definì “il simbolo stesso del cinema”. Ha attraversato quasi tutto il secolo scorso e in 40 anni di attività ha girato una cinquantina di pellicole (tra muto e sonoro), quasi tutte di grande successo. Se il suo primo lavoro è datato 1919, già due anni più tardi ottiene eco internazionale. Il lungometraggio che gli fa varcare i confini tedeschi è proprio der müde Tod, una storia di amore e morte, una vera e propria danza, una poesia divisa in 6 versi, che riprende le ballate popolari, di una modernità sconvolgente.
La quieta vita di un paesino viene scompigliata dall’arrivo di un uomo che si insedia in un campo, vicino al cimitero, protetto da alte mura apparentemente invalicabili. La popolazione ritiene che quello straniero riservato, con lo sguardo austero, avvolto in un mantello nero, sia la personificazione della morte. Colonie di spiriti vengono, infatti, viste valicare quella cinta. Un giorno, nell’ennesima processione verso l’aldilà, una novella sposa rivende il compagno defunto e decide di implorare l’aiuto di quella sinistra figura. La Morte, presa da compassione, le promette di ricongiungerla all’amato qualora riesca a salvare tre anime che si stanno spegnendo. Inizia cosi un viaggio nei secoli che la porta da Bagdad a Venezia sino alla Cina prima di tornare al presente.
Der müde Tod è stato proiettato nella cornice del FriedrichStadt Palast, con musiche suonate dal vivo dall’orchestra sinfonica della radio di Berlino diretta da Frank Strobel. Per due ore siamo tornati agli albori del cinema, abbiamo scoperto battute di raro sarcasmo, visto una parodia di luoghi comuni che ancora sopravvivono, e seguito con trasporto inatteso le vicissitudini di un’innamorata a cui la morte ha strappato la dolce metà. La pellicola è cosi avvincente e sorprendente da farci dimenticare l’assenza di dialoghi. Con un ritmo invidiabile, cadenzato dalle note in sottofondo, le (dis)avventure della giovane ci intrigano, rapiscono, fanno ridere anche più di un’opera di oggi.
Aiutati dallo sfondo che cambia colore, a seconda di luoghi e umore, travolti dai salti nelle varie epoche e dalla corsa contro il tempo della nostra eroina, ci siamo dimenticati di dove fossimo e abbiamo condiviso con lei quel viaggio disperato, abbiamo provato il suo amore e condiviso la scelta finale, cosi romantica, umana e perfetta.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”