Fondatore insieme al collega Lars von Trier di Dogma 95, trionfatore a Cannes prima con Festen poi con l’incredibile Jagten (The Hunt), in concorso alla 66° Berlinale con Kollektivet (The Commune), Thomas Vinterberg è uno degli autori più interessanti degli ultimi tempi. E ieri ha trascorso un pomeriggio con gli amanti della settima arte e gli studenti aspiranti registi che trovano nella sua cinematografia una fonte di ispirazione.

Thomas Vinterberg - Photo by Marc Høm

Thomas Vinterberg © Marc Høm

Thomas Vinterberg, classe 1969, nasce a Copenhagen e li fonda con Von Trier il movimento Dogma 95. Volevano fare la rivoluzione, riportare il cinema a una dimensione più pura, alleggerirlo da inutili filtri e orpelli. Il loro era un abbasso alla mediocrità che imponeva autodisciplina e l’introduzione di regole: niente musica, niente make-up, solo la realtà. Ne nacquero dei veri comandamenti che determinarono la loro produzione cinematografica e, inaspettatamente, il loro stile diventò trendy, finì sotto i riflettori di festival importanti come Cannes, piovvero applausi, premi e… soldi – oltre ad una linea di mobili (doh). Tutto perse di senso e un nuovo capitolo ebbe inizio.

Per lui, da quel momento, fu un successo dopo l’altro. Molta era quindi la curiosità dei presenti alla sua masterclass con riguardo a Kollektivet, la sua ultima fatica che verrà presentata in anteprima domani (mercoledì). E Vinterberg ci ha anticipato delle sequenze prima della prima, alzando ancora di più la aspettativa. Inquadrature che sono un’opera d’arte, battute che fanno ridere e un primo piano tanto silente quanto straziante, ci rendono l’attesa acor più carica di speranze che l’onda positiva di questo concorso internazionale proseguirà sino all’ultimo giorno.

Nato, come di consueto, nella forma di opera teatrale e poi trasformato in screenplay, Kollektivet prende spunto da un’esperienza vissuta in prima persona (i genitori del cineasta si trasferirono in una comune quando aveva sette anni). Narra la storia di una coppia che eredita una casa al mare e invita gli amici a viverci. Tra crolli interiori e tracolli professionali, le sorprese saranno numerose. Lontana da essere la versione cinematografica dell’infanzia del regista (durante la quale peraltro si vergognava dello stile di vita “libero” dei genitori col risultato che i compagni volevano sempre andare a casa sua), questa rimane una finzione che indaga l’animo umano, il suo lato fragile ed emotivamente frangibile.

Non solo il passato, l’attenzione al presente, a ciò che ha ultimato da poco, al prossimo progetto (un lungometraggio sull’alcool), al suo modo di creare e narrare una storia per immagini, è stata notevole. Oltre alla pellicola portata a Berlino, abbiamo potuto scoprire, tra una chiacchiera e l’altra, che il suo quotidiano, mentre un film è in lavorazione, prevede non solo l’adattamento di una pièce al grande schermo ma anche delle serratissime sessioni di prova, atte a studiare tutti insieme i personaggi e a plasmarli, ascoltando gli uni e gli altri, soprattutto perché, sino a quel momento, seppur avendo in mentre quale sarà l’interprete (svelato quindi il motivo della presenza ricorrente di un manipolo di attori sui suoi set), erano tutti solo abbozzati.

La frase da ricordare è: “bisogna saper ascoltare, si deve essere curiosi, si deve avere il coraggio di osare perché solo allora la creatività viene stimolata”. Si parlava di buona regia. Ci piace trasformarla in un mantra che ci faccia sentire bene questa sera.

Vissia Menza