Dounia Sichov e James Hyndman in Boris sans Béatrice - Photo courtesy of Metafilms

Dounia Sichov e James Hyndman in Boris sans Béatrice © Metafilms

Boris è un uomo di potere. Beatrice è un ministro di vitale importanza per il paese. I due di amano e insieme sono una potenza. Sono marito e moglie e oggi hanno un problema da risolvere. Lei è nella morsa della depressione ed è ai limiti del catatonico, lui ha l’irresistibile fascino della mezza età e si gode le donne che letteralmente gli si gettano addosso. Una sorta di senso di colpa aleggia nell’aria sin dall’inizio sino a quando un misterioso persecutore inizierà a turbare e scuotere Boris.

Il nuovo film di Denis Coté trabocca bellezza, ha inquadrature fini ed eleganti, non disdegna gli stereotipi (come donne e motori), ha due protagonisti tanto raffinati quanto infelici le cui coscienze trascurate un giorno alzeranno la testa, anche se per motivi diversi. Ammaliati dallo, sino a ieri, sconosciuto James Hyndman, che catalizza gli sguardi non solo del gentil sesso, e dalle location che paiono uscire da una rivista di moda, design e architettura – la dimora immersa nel verde della coppia è mozzafiato tanto quanto la loro ricchezza e tutto il castello di carte che temiamo sia sul punto di frantumarsi per sempre – rimaniamo in attesa di scene incalzanti che tardano ad arrivare.

James Hyndman in Boris sans Béatrice - Photo courtesy of Metafilms

James Hyndman in Boris sans Béatrice © Metafilms

Divorata dal successo, dal potere, dall’adrenalina che aleggia copiosa, la coppia oggi si è persa e sarà Boris a dover cambiare rotta per ritrovare, ed ancorare, la sua Béatrice, sempre più alla deriva. La sensazione dilagante è che la bellezza ci salverà, per l’ennesima volta, ad un passo dal baratro; che siamo difronte all’ennesima catastrofe autoinflitta; e che il disastro sia causato da un eccessivo egoismo farcito di testosterone. Alcuni presenti hanno subodorato perfino una stilosa critica al potere, la peggiore rovina-famiglie dalla notte dei tempi. Possibile. Altrettanto probabile è che l’ambiguo personaggio, che si materializza di tanto in tanto con il volto di Denis Lavant (Holy Motors), possa essere un’allucinazione, una proiezione della coscienza di Boris inquieto e il vero folle sia lui.

Con lo scorrere dei minuti entriamo nell’asettica dimora dei Malinovsky e rimaniamo sedotti da quel mondo ricco, costruito con dovizia, in cui tutto per essere perfetto deve essere inanimato. Ci dispiace quindi che le persone, coloro in grado di farci vibrare, siano tanto distaccate, lontane da noi e mantengano (volontariamente?) le distanze dall’audience. Non stupisce che il pubblico si sia diviso tra estimatori di Coté, innalzati per l’occasione a paladini del suo stile, ed insoddisfatti, legati alla necessità di trasformarsi nei protagonisti ed emozionarsi per loro.

Boris sans Béatrice non ha convinto del tutto la critica presente a Berlino se non su un punto: potremmo sentire ancora parlare di James Hyndman.

Vissia Menza