In questi giorni THE WOLFPACK è tra le hit, è uno dei film di cui si sente maggiormente parlare, complice anche il passaggio (e il premio) alla Festa del Cinema di Roma. Curioso è che non si tratti di un thrillerone con protagoniste delle super-star hollywoodiane bensì di un documentario, della durata di 90’ minuti. Non è finzione, è realtà in grado di soddisfare anche il pubblico più esigente. Non sappiamo il motivo ma non ci viene in mente di associarlo ad alcuna storia da “cronaca vera” o “da Discovery Channel”. Non ha lo stile gossipparo né quello soporifero del milionesimo approfondimento sui mostri marini (di cui, sia ben chiaro, sono una grande fan). I nostri istinti ne sono coscienti, il nostro lato razionale non si pone domande.

Parlando dell’opera di Cristal Moselle, mi è venuto in mente uno dei panel of discussion a cui ho assistito al 59° BFI London Film Festival legato alla TELEVISIONE: l’eccentrico presentatore LOUIS THEROUX e il produttore premio Oscar® SIMON CHINN (Sugar Man e The Green Prince) hanno conversato sulle differenze tra i documentari destinati al cinema e quelli per la televisione.

Dall’incontro (a cui ho partecipato per curiosità, dato che negli ultimi anni mi sono trovata spesso a narrare il trasporto e lo stupore provati difronte a incredibili docu-film) sono tornata a casa con molte conferme. In primis, che i nostri sensi non sbagliano mai.

Louis Theroux al BFI LFF - Photo: Stuart C. Wilson/ Getty Images

Louis Theroux al BFI LFF – Photo: Stuart C. Wilson/ Getty Images

Il fulcro è il soggetto e il modo in cui si affronta e presenta.
Deve essere riconoscibile da chiunque, deve possedere una sorta di patente internazionale, deve riuscire a toccare le corde che accomunano gli spettatori di casa nostra e d’oltralpe, per esempio.
Ma non basta, deve essere narrato seguendo la struttura del racconto, il che implica un duro lavoro in sede di montaggio nel creare un’opera in tre atti, esattamente come quelle di finzione. Se ci fate caso, infatti, quasi tutti i film che vi appassionano hanno protagonisti che, dopo le presentazioni, subiscono almeno due evoluzioni prima di raggiungere i titoli di coda. Lo schema, più o meno, è così: introduzione – creazione di un’attesa – sorpresa – spiegazione – evoluzione – nuovo cambiamento – finale.
Il racconto non è un mero elenco cronologico dei fatti, le informazioni vengono fornite col contagocce, dopo aver suscitato in noi curiosità, aver creato una attesa, molta suspense, esattamente come in un giallo. Il che ci porta all’ultimo fondamentale punto: non tutte le storie sono adatte al grande schermo. E, in effetti, se ci pensate bene, mille sono i documentari che vediamo e apprezziamo in TV ma quanti sarebbero in grado di durare il doppio o il triplo? Quanti ne avete visti negli ultimi dodici mesi avvolti dal buio della sala cinematografica? Uno, AMY, due se contiamo THE WOLFPACK, corretto? E gli altri? Sono più veloci, lineari, adatti alle serate in casa, il che non implica siano meno attraenti. Sono solo poco adatti al grande schermo, sono diversi, come diverso sarà il nostro sguardo la prossima volta che vedremo una storia vera, non romanzata, all’interno di un cinema ;)

Vissia Menza

Last update: March 1st, 2016