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Alex è un 25enne di Montréal; è un tossicodipendente senza dimora, con solo una borsa che contiene qualche capo di ricambio passa le notti sul divano di un amico, in un’auto incustodita, nella sala d’aspetto del pronto soccorso. Per procurarsi la quotidiana dose di crack, ma vanno bene anche l’hashish, l’eroina e qualsiasi tipo di pasticca, farebbe di tutto. Si prostituisce abitualmente, sia direttamente col pusher a cui fa da autista, facendosi pagare in dosi, sia nei cessi dei locali o in luridi vicoli: ma ormai non è più così giovane – o almeno, con la vita che fa, non lo sembra – e i clienti non si accontentano. Spesso ruba per mangiare, e deruba i clienti e quelli che gli offrono un tetto. Il suo bellissimo amante Bruno è nelle sue stesse condizioni, per entrambi la droga è un’ossessione, e anche il sesso lo è, sempre più violento. Insieme si avviano all’autodistruzione.

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Il regista del Québec Rodrigue Jean – premiato al Festival di Toronto per il suo primo lungometraggio FULL BLAST (1999) e per LOST SONG (2008) – prosegue la riflessione sul mondo della prostituzione maschile iniziata con il documentario HOMMES À LOUER (2008), uno sguardo intimo e impietoso, girato nell’arco di 12 mesi, sulle vite dei prostituti di sesso maschile del centro di Montreal; e proseguita con la serie di corti web che andavano a formare il docu-drama del 2012 ÉPOPÉE-L’ÉTAT DU MOMENT, dove raccontava la quotidianità di marginali e tossicodipendenti, di senza dimora e lavoratori del sesso che vagano per le nostre città in cerca di riparo, sfidando la nostra indifferenza.

L’AMOUR AU TEMPS DE LA GUERRE CIVILE è un film di finzione che è stato girato come un documentario, in ordine rigorosamente cronologico e con un copione ridotto all’osso. Per lo spettatore è di sicuro gravoso, impegnativo, una continua serie di pugni nello stomaco. Le scene di sesso man mano sempre più violento, continue e ripetute, così come i primi piani sulle siringhe e sulle pipe di droga, sono disturbanti e pesantissima è tutta l’atmosfera. Ma il regista si è impegnato, e ha vinto la scommessa, a non giudicare: segue i suoi personaggi e li fotografa lungo i gironi infernali della loro tragica esistenza, nella loro quotidiana guerra per la sopravvivenza. Filma e non spiega, fidando completamente nella sensibilità e nell’intelligenza dello spettatore.

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Il 28enne attore di formazione teatrale Alexandre Landry – già protagonista in tutt’altro ruolo nel 2013 del premiato film GABRIELLE – interpreta Alex con una naturalezza disarmante, trasformandosi completamente; e di altrettanto straziante realismo è Jean-Simon Leduc (Bruno): due giovani attori in ruoli difficilissimi, che mi rimarranno a lungo nella mente e nel cuore.

M.P.