Ci sono film che necessitano di essere digeriti. Inizialmente sembrano insipidi, di quelli che dimenticherai col cambio del giorno e poi, invece, ti prendono in contropiede e non ti lasciano più. LA LOI DU MARCHE’ è uno di questi. Fa parte dei lungometraggi che concorrono per la Palmarès al 68° Festival de Cannes. È un’opera francese nella costruzione, nella trama, nella recitazione, nella sua drammaticità. Ciò che mostra è invece universale e mai come oggi ci colpisce nel profondo.
Protagonista è Thierry Taugourdeau un uomo disincantato, pratico, che ha a cuore la famiglia e accetta un posto in qualità di vigilante in un supermercato pur di non far preoccupare i suoi cari. Thierry subisce le conseguenze del cambio di millennio e della crisi globale che sta colpendo duramente tutta l’Europa (e non solo). Senza guardare in faccia nessuno, negli ultimi anni, nel nome delle leggi dell’economia molte persone sono rimaste ai margini del mercato del lavoro, ne sono state espulse, o ci sono aggrappate per un sottile filo, spesso con contratti ai limiti della legalità. Thierry è solo uno dei molti lavoratori che stanno pagando un duro prezzo e ci ricorda amici, conoscenti e un po’ anche noi stessi.
Thierry è interpretato da Vincent Lindon, uno degli attori francesi più apprezzati. Attivo in teatro, con alle spalle una trentina di pellicole e molte nomination ai premi più prestigiosi (ma nessun Cèsar), questa volta l’attore potrebbe tornare a casa con la Palmarès e, in base a quanto visto sino a oggi, ci uniamo a chi fa il tifo per lui.
Il suo Thierry è, infatti, di poche parole, pratico, razionale, saggio. Va da se che lo sguardo, il respiro e le movenze siano importantissime per dare tridimensionalità all’uomo e alla sua sofferenza che, nonostante rimanga ben celata in un dignitoso silenzio, è sempre presente. Ed è proprio qui che l’interpretazione di Lindon vince su tutte: il suo sguardo dice più di mille parole, il suo tono è disarmante, i colpi d’occhio sono fondamentali nel trasformarlo in chiunque di noi. La sua camminata, il suo sospirare, il suo accettare passivamente per il bene di tutti ci fa dimenticare che stiamo vedendo un film.
L’opera di Stéphane Brisé è intima, asciutta, non cerca di impietosirci, non ci mostra cosa sia giusto o sbagliato, al contrario, con intelligenza – e un pizzico di tagliente ironia sempre al momento giusto – ci regala un dramma da grandi applausi (quelli che ancora sto aspettando di sentire ad una proiezione stampa). L’uomo qualunque e il violento mondo in cui vive sono gli unici protagonisti di questa “Loi du Marché” che ci impone una volta rincasati di domandarci cosa siamo disposti a sopportare pur di sopravvivere e, soprattutto, se questa dilagante dis-umanità ci condurrà davvero ad un futuro migliore. Perché a me manca molto quel passato bucolico, che oramai popola i ricordi di infanzia, in cui l’uomo non viveva in una grigia e gelida giungla chiuso nel suo egoismo.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”