Samba è un senegalese che da quando ha perso il padre vive a Parigi. E’ un bravo ragazzo, onesto e gran lavoratore; unico sostegno della famiglia rimasta in Africa, aspira a diventare cuoco, anche se per ora fa solo il lavapiatti. Finalmente, dopo 10 anni di clandestinità e lavori precari, il padrone del ristorante dove lavora gli dà una lettera d’assunzione: la porta tutto contento in Prefettura, dove ha fatto da anni domanda di regolarizzazione, ma per un inghippo burocratico viene inviato ad un centro per clandestini in attesa di espulsione. E’ disperato, ma per fortuna lo zio, immigrato in regola, lo mette in contatto con un’associazione di volontari che seguono molti casi come il suo.
Alice è una manager sotto stress, in congedo temporaneo per aver aggredito violentemente (12 punti in testa) un collega che ha osato rispondere al cellulare durante una riunione. Dopo alcuni mesi di soggiorno in una clinica (pittura all’acquarello, yoga, molte pillole) in attesa di riprendere il lavoro si offre, pur totalmente inesperta e tuttora parecchio impasticcata, di aiutare la sua giovane amica Manu in un gruppo di aiuto legale, tanto per tenersi occupata. E così le strade di Samba e di Alice si incontrano, e ognuno riuscirà a fare per l’altro molto più di quanto si sarebbero aspettati.
Tre anni dopo il successo planetario di QUASI AMICI, dove si parlava di disabilità, gli sceneggiatori e registi Eric Toledano e Olivier Nakache affrontano un altro tema scabroso e di bruciante attualità, in Francia come in Italia: l’immigrazione clandestina. E purtroppo lo fanno a modo loro. Partono da una tematica sociale importante, iniziano a descrivere con realismo una situazione grave e dolorosa, che commuova il pubblico e lo faccia parteggiare per il protagonista, maltrattato dalla sorte e dalla stolidità della burocrazia. Ma già dopo una decina di minuti (su 2 ore, davvero troppe) rinunciano a qualsiasi vaga intenzione di “cinema civile” e si abbandonano a banali ritmi da commedia, che sfocia a tratti nella farsa. Il loro intento era di parlare con leggerezza di un tema a dir poco ingombrante; invece ci troviamo davanti ad un collage di “scenette” slegate fra loro, alcune molte superflue. I personaggi sono tutti stereotipi tagliati con l’accetta, la trama gira in tondo senza fantasia, salvo un del tutto improbabile colpo di scena finale.
Toledano e Nakache tornano per la quarta volta ad affidare il ruolo di protagonista di un loro film al loro attore-portafortuna Omar Sy, che dopo X-MEN sta per partecipare al nuovo JURASSIC PARK e al prossimo film di Ron Howard/Tom Hanks. Mi chiedo che cosa abbiano mai trovato di notevole a Hollywood nella quantità di tic, nelle caratterizzazioni macchiettistiche, nelle sguaiatezze di questo disc-jockey radiofonico prestato al cinema. Opposta alla sua interpretazione, come sempre tutta fisica, c’è l’altro mistero di questo film: la cerebrale, algida, totalmente a disagio Charlotte Gainsbourgh in una parte “alla Margherita Buy”, ma in versione appassita. La commedia non è decisamente nelle sue corde, non ha idea di cosa siano i tempi comici e, benché palesemente si sforzi, non c’è nessuna chimica fra lei e Sy: nonostante lo scopo della storia sia proprio l’opposto, sembra che vivano davvero su due pianeti diversi. Buona invece l’interpretazione dei comprimari Izïa Higelin (la quasi-avvocatessa Manu) e soprattutto quella di Tahar Rahim (l’algerino Walid, collega di clandestinità, di lavoretti e di fughe). Peccato che, come tutti quanti, siano mortificati da situazioni ridicole, siano serviti da dialoghi di una bruttezza imbarazzante e i loro personaggi risultino privi dello spessore che meritavano.
Che delusione!
M.P.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.