Susanne Bier torna alla regia, torna in Danimarca, torna ai toni seri. Al posto della risata una provocazione, piccola ma sufficiente per scuoterci e indurci a riflettere sull’annoso dilemma di quale sia il confine tra il bene e il male, tra il fare la cosa giusta e quella sbagliata, tra i gesti d’amore e i più folli, in un’epoca in cui uno ad uno sono stati scardinati tutti i valori, tramandati attraverso i secoli sino ai nostri nonni, che la generazione dei nostri genitori ha iniziato a far saltare e l’era digitale ha distrutto del tutto.
I protagonisti della nuova pellicola della regista danese sono Andreas e Anna, una coppia felice con una famiglia perfetta: sono belli, innamorati, senza problemi e hanno appena avuto un bimbo. Tristan, l’amico di un tempo, invece è diventato un ladruncolo, un drogato, che picchia la compagna e non si cura del figlio. I due uomini si ri-incontrano il giorno in cui Andreas, che è un poliziotto, fa irruzione in casa di Tristan. Da quel momento una serie di tragici eventi li porterà al confronto, a più di uno scontro, e al capovolgimento delle loro esistenze.
Il bravo poliziotto, l’amico affidabile, il marito devoto, valicherà il confine del lecito e del corretto, e toccherà allo spettatore decidere se assolverlo o condannarlo. La buona fede e/o un amore smisurato, sono sufficienti a giustificare colpi di testa e follie? È giusto tentare il tutto per tutto per salvare i propri cari?
Molti gli spunti di riflessione messi a nostra disposizione dall’autrice, il cui intento non sembra essere quello di sconvolgere il pubblico. Tutto ciò che di opinabile accade, infatti, alla fine ci rendiamo conto di averlo giustificato e di aver parteggiato per Andreas, nonostante fossimo sempre coscienti di quanto quelle azioni fossero moralmente (e legalmente) riprovevoli.
Il trucco sta proprio qui: indagare situazioni comuni, creare presupposti tragici e sconvolgenti, avere protagonisti visibilmente scossi in grado di comunicare il loro disagio sin da questo lato dello schermo. E la Bier si avvale di attori espressivi, preparati, credibili. Va a segno. Missione compiuta. Tutto è ton sur ton, il cast è scelto tra i migliori interpreti scandinavi (molti i volti noti anche al grande pubblico) e il ritmo è caratterizzato da una tensione e ci tiene ben desti sino al finale. Chiusura, peraltro, che se fosse stata smussata, eliminando un paio d’inquadrature quando il traguardo era all’orizzonte, sarebbe stata impreziosita da un inquietante non-so-che.
“Second Chance” scorre grazie ai suoi attori e alla fotografia attenta e morbida, ma tutto ha una delicatezza che pare preludio di un veloce addio. L’oblio è palpabile, sin da subito ci domandiamo se la pellicola sarà in grado di vincere la battaglia del weekend al botteghino. Riuscirà il bel visino (qui molto contrito) di uno dei pilastri de “Il Trono di Spade”, Njikolaj Coster-Waldau, a salvare il progetto? La sensazione è, infatti, che il peggior nemico dell’opera sia stato la voglia di non osare del suo creatore.
Film prevedibile ma godibile.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”