14 febbraio, les jeux sont faits! Oramai si deve solo attendere la cerimonia di chiusura per scoprire cosa abbiano apprezzato le giurie e il pubblico di questo 65 festival internazionale del film di Berlino. Chiudiamo la carrellata delle recensioni delle opere in concorso con “Vergine Giurata” dell’esordiente Laura Bispuri. Pellicola tratta dal romanzo omonimo di Elvira Dones che narra la storia di Hana, una donna che ha rinunciato alla femminilità per assecondare la sua indole, la voglia irrefrenabile di uguaglianza e libertà che, nella comunità sulle montagne albanesi in cui è nata, in altro modo non le sarebbe concessa. La ragazza cresce, infatti, in uno di quegli anfratti in cui ancora oggi vige il kanun, un ancestrale codice maschilista che concepisce la donna come “fatta per sopportare”, completamente sottomessa, privata della possibilità di bere, fumare, usare un fucile, insomma, fare quello che vuole.

©Berlinale

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Al matrimonio combinato e/o alla fuga la ragazza preferisce diventare una “vergine giurata” ossia fare un giuramento: rimanere vergine a vita in cambio della libertà. Dovrà però svolgere un lavoro prettamente maschile, indossare abiti da uomo e soprattutto cambiare il proprio nome. È così che Hana diventa Mark. Il giorno in cui muoiono gli ultimi affetti che la legano a quei luoghi, Hana/Mark sente sia giunto il momento di raggiungere la cugina che vive in Italia. Una volta a confronto con una società diversa e con una nipote che è l’emblema della femminilità e dell’indipedenza, la sicurezza di questa persona, cresciuta seguendo regole  durissime e retrograde, vacillerà e dovrà fare i conti con il suo io.

Nei panni della protagonista ritroviamo Alba Rohrwacher, per la seconda volta quest’anno in un ruolo non semplice da cui esce vincitrice. Il suo Mark è sufficientemente ambiguo, introverso, maschio. La sua Hana è curiosa e fragile come ogni donna. E a Berlino sia la stampa internazionale sia il pubblico hanno notato tutto questo e molto altro, chiudendo le proiezioni con applausi lunghi e inattesi che hanno commosso la neo-regista e gli altri ospiti presenti.

©Berlinale

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Il film descrive una situazione che è attuale per alcuni e curiosa per molti altri. La Rohrwacher, non procace né burrosa, ha un fisico perfetto e riesce ad animare con attenzione ed equilibrio il suo personaggio (oramai ci stiamo facendo l’abitudine). La fotografia è migliorabile e la sceneggiatura, che non gode del supporto di una trama ad effetto, pure. “Vergine Giurata” infatti, ci mette più di un’ora per decollare, chiede quindi allo spettatore pazienza, soprattutto perché il gioco di flashback racchiude episodi prevedibili, così come s’intuisce facilmente quale e quando avverrà il punto di rottura. L’applauso però se lo porta a casa, per quella seconda parte, per le scelte, per il cast e, sicuramente, anche per l’argomento. Ed è inutile negarlo, la produzione è, oltre che albanese, anche italo-svizzera e noi, quando vediamo tanto entusiasmo in terra straniera, iniziamo a gongolare.

Vissia Menza