Selma è una cittadina in Alabama, uno di quei luoghi di provincia immersi nella natura, in apparenza bucolici, perfetti per rimanere nell’anonimato. A Selma però le cose andarono diversamente. Negli anni ’60, infatti, balzò agli onori della cronaca per il braccio di ferro che gli attivisti per i diritti civili instaurarono con le istituzioni locali. In città arrivarono sia Martin Luther King sia Malcom X e il primo non se ne andò senza essere riuscito a vincere. Memorabili furono le tre marce che si tennero nel marzo di quell’anno. La prima finì in un bagno di sangue, la seconda con una ritirata, la terza fu un successo: i dimostranti, con il supporto anche di una vera scorta armata, raggiunsero Montgomery e ottennero una vittoria importante, il reale diritto di voto per gli afro-americani. Inutile dire che la strada da Selma a Montgomery sia diventata un percorso simbolo del diritto di voto negli Stati Uniti.
La regista americana Ava DuVernay, classe 1972, per il suo terzo lungometraggio sceglie di avventurarsi in un progetto ambizioso: portare sullo schermo la ricostruzione di cosa accadde nei mesi di febbraio e marzo 1965 a Selma, dalla prospettiva del leader che segnò la svolta, Martin Luther King.
Il film si apre nel momento in cui fu conferito il premio Nobel per la pace a un giovane pastore battista in preda al disagio e ad una sorta di senso di colpa per aver intrapreso un viaggio “di piacere” sino a Oslo. Una volta in patria, tornerà subito in prima linea, sfruttando il peso di quel premio nei suoi scambi con il Presidente Johnson e gli altri rappresentati dello Stato. Una volta udito dei problemi presenti a Selma, decise di rendere quel posto un simbolo dei soprusi che ovunque la sua gente stava ancora subendo. Il difficile ruolo di King è sulle spalle dell’attore David Oyelowo, affiancato da una serie nutrita di attori noti e strutturati che, nell’insieme, lo aiutano a conferire una credibilità all’opera nel suo insieme.
“Selma” è stato accolto talmente bene dalla critica da aver stupito molti, e fatto indignare alcuni, quando è rimasto escluso delle cinquine più nobili agli Oscar® 2015, quella di miglior film e la DuVernay dai migliori registi. A ben vedere però, non si può parlare di scandalo. Questioni tecniche a parte, i giurati sono uomini e come noi hanno un’emotività che, evidentemente, li ha portati altrove. Anche perché, a ben vedere il punto di forza della pellicola – prodotta da Ophra Winfrey e da Brad Pitt – ha il suo punto di forza nella potenza fatti da cui attinge, non nell’effetto sorpresa o nella dirompente e/o clamorosa sceneggiatura. Potremmo definirlo un lavoro accurato, una ricostruzione delicata e non sensazionalistica, con un cast di altissimo livello e con grande attenzione a scenografia e fotografia. Un compito ben fatto, sopra la media, che non ha rinunciato a quella patina che definisco da film HBO. Probabilmente però la mia (in)sensibilità è contro corrente: Ava DuVernay e i suoi attori hanno avuto una serata di trionfo anche qui a Berlino al Gala organizzato al Friedrichstadt Palast. E ora tocca a voi.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”