Il Festival Internazionale del Film di Berlino non è solo occasione di vedere dal vivo il cine-firmamento a stelle e strisce che va a braccetto con quello del Vecchio Continente. Alla Berlinale sfilano le varie forme di fare cinema, le avanguardie si confrontano con le tradizioni, si spronano i giovani, si consacrano nuovi professionisti, si omaggiano i grandi che col loro lavoro hanno contribuito a rendere unica e magica quest’arte. Ci sono le masterclass, talvolta sull’onda dell’entusiasmo collettivo nascono spontanei Q&A, altre volte gli incontri tra esperti accolgono il pubblico che può così soddisfare qualche curiosità.

Uno dei tanti punti di forza di questa kermesse è la Retrospettiva che quest’anno è dedicata a qualcosa di molto particolare a fascinoso: il Technicolor. Cos’è realmente questo processo? Perché le opere del passato talvolta hanno un colore e altre volte ne hanno uno completamente differente? Il digitale è sempre la risposta giusta? Queste sono alcune delle domande che da oggi hanno una risposta grazie al Panel: “Challenges and Opportunities in Restoring Technicolor”, la discussione aperta tra addetti ai lavori, gente del settore e curiosi, cui abbiamo assistito.

Berlinale posters on the wall

Per il centesimo compleanno del rivoluzionario Technicolor, metodo che rendeva tutto vivido e realistico, usato in primis negli Stati Uniti, il Festival ha deciso di organizzare una Retrospettiva. Trenta pellicole restaurate, tutte nate tra il 1915 (anno in cui fu inventato questo processo) e il 1953, sono il regalo della 65° edizione della Berlinale. In questi giorni, sarà quindi possibile perdersi nelle fascinose curve di un’inquieta Marylin in “Niagara”, o rimanere ammaliati dai bellissimi gioielli e abiti che la diva indossa nel divertente “Gli uomini preferiscono le bionde”. Se preferite il noir o il mélo, allora “Four Against the World” e “Gone With the Wind” faranno al caso vostro. E se, durante la visione, nella testa sentiste suonare un campanello d’allarme, se la memoria volesse indurvi a credere che i colori di oggi non siano quelli originali, ignoratela, intanto durerà solo qualche minuto, la vostra immaginazione altera facilmente (e sempre modificherà ) il ricordo.

Una delle cose curiose apprese durante l’incontro è stata, appunto, che la memoria del colore è qualcosa che si altera con immensa rapidità e facilità e che subisce l’influenza delle varie epoche. Come i canoni estetici di qualsiasi campo, anche il nostro concetto di colore “spettacolare” varia nel tempo. Quindi, che il “Pinocchio” di Disney sia disponibile in cinque colorazioni, tutte annoverabili tra quelle Technicolor, non è una follia, è solo lo specchio di un periodo. Tanto più che spesso gli esperti si trovano a lavorare non con i master ma con copie di seconda/terza generazione, pur sempre datate ma figlie degli originali.

Diventa evidente che il restauro di un film sia quindi non scienza ma una vera e propria arte, dove si fanno delle scelte e in cui, come il caso del Technicolor, quando non esistono più certi componenti la sfida è ricreare il medesimo impatto con differenti mezzi. È un lavoro di fiction, quindi, di riproduzione della nostra idea di come fosse una volta il colore. Intrigante, vero?

Se siete in Germania, e pensate di fare un salto a trovarci, il programma di questi giorni è QUI Se, invece, siete solo affascinati dall’argomento QUI qualche informazione e curiosità in più.

Vissia Menza