Fuori concorso, a Locarno67 è stato presentato anche un film che porta la firma di Gianfranco Pannone. Il regista italiano, documentarista da sempre, ci porta a Napoli, alle pendici del Vesuvio, per mostrarci una cartolina insolita della sua città natia.

Accompagnati da tre persone che vivono in quei luoghi, Maria, Matteo e Yole, ci viene mostrato uno scorcio di convivenza con uno dei vulcani più pericolosi di Europa. Entriamo nella c.d. zona rossa, una delle aree più densamente popolate dell’intero continente, che altro non è se non la parte prospiciente il Vesuvio, resa intrigante dalle ginestre di leopardiana memoria (oramai presenti sino ad alta quota) in grado di attirare, oltre a orde di turisti, un oceano di abitanti.

©Festival del film Locarno

©Festival del film Locarno

Non sorprende scoprire vi sia addirittura una seggiovia che favorisce il turismo sino alla cima. Per la popolazione locale quel vulcano è, infatti, parte della propria storia, della quotidianità. Tutti sono coscienti del potenziale rischio ma confidano che la loro esistenza attraversi indenne il pericolo. Interi quartieri sorgono sulle pendici o in luoghi prossimi alla bocca dove, se domani accadesse qualcosa, sarebbe impossibile evitare che la storia si ripetesse. Così come colpisce vedere una popolazione, che ha portato il rischio nella quotidianità, essere più interessata alle conseguenze di disoccupazione e criminalità (quest’ultima percepita come l’unico modo per sopravvivere e dare da mangiare al resto della famiglia) che non a quelle di una improvvisa eruzione del Vesuvio.

“Sul Vulcano” si affida a soavi musiche e a versi millenari (di Plinio il Giovane, Leopardi, Sandor Marai e molti altri) letti dai migliori attori italiani, per rendere le immagini ancor più maestose e inquietanti (il Vesuvio tecnicamente ha una potenza tale da essere catalogato tra i vulcani più devastanti del mondo), sganciandosi in tal modo dal soporifero format cui ci hanno abituati i canali dedicati sulla pay TV.

©Festival del film Locarno

©Festival del film Locarno

L’intento del lavoro di Pannone sembra essere quello di affascinare lo spettatore, passargli qualcosa in più rispetto alle nozioni recuperabili su Wikipedia, affiancando a informazioni “spettacolari” e/o curiose (legate alle costruzioni abusive, l’invasione della zona rossa dopo il terremoto del 1979, le discariche, e molto altro) una fotografia di quella che potremmo definire la “vesuvianità”.

L’autore ci mostra la bellezza dei luoghi, delle costruzioni lasciate dalle epoche andate, di tutte quelle architetture sontuose, a cui contrappone il selvaggio e anonimo abusivismo edilizio, che par dettato da un cieco in preda alla follia. E, nel mentre, odiamo i versi di sommi poeti che non smettono di strabiliare per la loro puntualità, precisione e attualità.

©Festival del film Locarno

©Festival del film Locarno

Grazie a tanta bellezza, alla fine – ironicamente – i napoletani ci appaiono più come i sommi detentori di bellezza e fierezza e meno come dei moderni brave heart che hanno deciso di sfidare ogni giorno la buona sorte. D’altro canto, anche Napoleone, parlando di Napoli, scrisse: “pioverà la morte sull’orgogliosa creatura”, “Questa città, che fu creata dall’amore, dalla passione (…) morirà bene, morirà degnamente, nell’altissima e fiammeggiante apoteosi di fuoco”.

Vissia Menza