© Festival film Locarno

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Domenica delle Palme, anno 1993. Linda e Eta cantano in chiesa. Il cielo è quello di Dubrovnik.

Linda e Eta sono due ragazzine, sono amiche, anzi migliori amiche e, nonostante la situazione sia quella che è, le due si comportano per l’età che hanno. Nessuna distinzione di cultura o abitudini, l’adolescenza è sempre uguale ovunque si vada: è fatta per lo più di confidenze di amori consumati solo con la fantasia, di piccoli dispetti, e di molte promesse d’eterna amicizia.

Un giorno, dopo la scuola, Eta porta Linda sui monti per mostrarle il suo luogo segreto, un paradiso dalla vista mozzafiato, immerso nella natura incontaminata. La conversazione si fa calda e Linda torna a casa da sola. 
Inizia così una storia strana, cupa, a tratti assurda, di sicuro condita da un pizzico di follia, in cui un giorno una ragazzina prende il posto dell’amica nella casa, nelle frequentazioni, negli affetti, con l’apparente placet di famigliari e amici di Eta.
 Cosa succede? È tutto reale? È una follia o il sommo gesto disperato di persone che hanno perso tutto e si aggrappano all’ultima delle illusioni?

© Festival film Locarno

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Intorno a Linda gravitano una mamma (che non è la sua) dura, rigida, segnata dalla guerra; una nonna che sembra aver perso il lume della ragione o, forse, ne ha viste talmente tante da andare avanti come è meglio per lei (che – di nuovo – non è la sua); e un padre assente (il suo), un medico talmente preso dagli eventi da lasciare che la figlia scopra la città e la vita adulta da sola, mentre vive in balia di un mondo che non le appartiene. Linda, infatti, è cresciuta in Svizzera, dove sua madre è rimasta, mentre lei e il padre sono tornati nella terra di origine. Luogo dove le donne sono la maggioranza, dove la vita è dura e dove il divertimento lo si trova anche nella propria stanza leggendo o parlando coi fantasmi, l’importante è che si respiri ancora.

Musica greve in sottofondo ad una pellicola carica di tristezza, miseria, vana speranza e di disperazione (forse). Ma soprattutto uno è sguardo diverso, perchè “Cure” racconta la crescita di un’adolescente in un mondo crudele, impropriamente adottata da una famiglia segnata dalla storia. Linda é sradicata, è fuori posto a Dubrovnik, è sola e persa, è in balia degli eventi, dei sentimenti che si impongono, e delle emozioni che prendono il sopravvento all’improvviso.

©Festival film Locarno

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Il film di Andrea Staka è inquietante e realistico. E’ sorprendente come riesca a infondere curiosità senza “effetti speciali”. L’opera è delicata e, senza attingere a situazioni e/o immagini violente, intreccia un racconto a metà tra lo storico e l’adolescenziale. Il pubblico e la critica sono divisi: a qualcuno non è dispiaciuto, ad altri ha dato fastidio, alcuni l’hanno considerato anonimo, sovrabbondante di citazioni, insomma, dimenticabile. A voi com’è parso?

Vissia Menza