Quelle di Sophie, Abdoulayé e Thiern sono storie di ordinaria diaspora africana.
Sophie (Mareme Demba Ly) ha 22 anni, parte dalla natia Dakar per raggiungere il marito Abdoulayé e arriva a Torino. Qui scopre con dolore che il marito è partito da tempo per un fantomatico lavoro in Francia, e che da tempo conviveva con una parrucchiera brasiliana in un appartamento con altre ragazze africane e sudamericane… diciamo di dubbia moralità. Vorrebbe tornare a casa, ma una simpatica assistente sociale (Maya Sansa) la convince ad aspettare e a richiedere il permesso di soggiorno, mentre cercano di capire che fine abbia fatto Abdoulayé. Sophie si iscrive a un corso di italiano e si trova un lavoro: ha un diploma di liceo, eppure di notte va a fare le pulizie. E pian piano si rende conto che una donna in Italia può permettersi libertà inimmaginabili nel suo paese.
Davvero, che fine ha fatto Abdoulayé (Souleymane N’Diaye Seye)? E’ a New York con un cugino in cerca di lavoro, e in attesa di una sistemazione sperano di farsi ospitare da Aminata, zia di Sophie. Ma il marito della zia, da cui era da anni separata, è morto a Dakar e lei e il figlio Thierno sono andati al funerale: il ragazzo ha 19 anni e non è mai stato in Africa, chissà quando torneranno. Abdoulayé viene derubato dal cugino e si ritrova a vivere per strada. Si vergogna di presentarsi così male in arnese agli altri parenti, ma anche sotto falso nome viene accolto con affetto e generosità dai compatrioti che “ce l’hanno fatta”. Alla fine, disorientato e infelice, si chiede se ha fatto la scelta giusta: la città per lui è un mondo chiuso che sembra respingerlo.
In Senegal Thierno (Ralph Amoussou) – ma lui preferisce Tyler, come lo chiamano i suoi amici di New York – è ammirato e ricercato da tutti i suoi coetanei, rappresenta per loro l’America che conoscono attraverso i film, le serie tv e le canzoni di Beyoncé e di Rhianna. Più che un paese e la sua cultura di origine Thierno scopre la sua famiglia: zii e zie che criticano la madre, che sentono ormai estranea alle loro tradizioni; un fratellino e una sorella di cui non ha mai conosciuto l’esistenza. Ma resta un turista, la sua patria ormai è New York, là ci sono la sua Università, i suoi amici e il suo amato pianoforte.
Una stella può sembrare sola se ci si concentra soltanto su di lei, ma circondata dalle altre diventa una costellazione – questo dice l’assistente sociale torinese ed è il significato del titolo di questa piacevole commedia, fresca e lieve. E’ la storia di una rete di affetti che la regista franco-senegalese Dyana Gaye, al suo primo lungometraggio, tesse con gentile realismo e femminile caparbietà. Ottimistica e positiva, pur coi piedi per terra, ci racconta un’emigrazione di donne forti e autonome, coraggiose e aperte ai cambiamenti; mentre gli uomini, vecchi e giovani, quando si scelgono una patria a quella restano indissolubilmente legati. Senza mai indulgere nel pittoresco ci racconta storie semplici e comuni, condividendo con noi la speranza in un mondo davvero migliore.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.