Estate 1999, nord della Cina: parti di un corpo umano vengono trovati nello stesso giorno fra il combustibile di centrali a carbone distanti fra di loro fino a 150 km. Il caso viene affidato al detective Zhang, depresso dopo il recente divorzio, che durante le indagini viene coinvolto in una sparatoria dove muoiono due indiziati e due colleghi. A malapena sopravvive, traumatizzato si dimette dalla Polizia e diventa sorvegliante in una fabbrica.

Inverno 2004: Zhang è ormai un alcolizzato e l’ombra di se stesso quando, 5 anni dopo quel primo caso, altri pezzi di più cadaveri vengono ritrovati in analoghe circostanze. Questo fatto gli dà la carica necessaria a farlo uscire dalla prostrazione in cui vive. Il suo vecchio collega Wang gli permette di collaborare all’inchiesta pedinando in incognito Wu Zhizhen, vedova del primo uomo ucciso, non bella e quasi asessuata, ma capace di scatenare insane passioni. La donna risulta misteriosamente legata anche ad altre due vittime: tutto sembra ruotare intorno alla lavanderia in cui lei lavora. Durante il pedinamento fra la gelida, ambigua donna e l’investigatore nasce uno strano, fortissimo legame che porterà a un finale in crescendo dall’esito tragico.

Diao Yinan director of "Black Coal, Thin Ice" - Photo: courtesy of 24° FCAAAL

Director Diao Yinan
Photo: courtesy of 24° FCAAAL

Il 45enne regista Yinan Diao, autore anche della sceneggiatura, ha dichiarato di essersi ispirato, più che ai capolavori del noir, alle atmosfere create dai fratelli Cohen. da FARGO a L’UOMO CHE NON C’ERA. E in effetti proprio a loro ci fanno pensare quell’impronta di grottesco, quei momenti di umorismo crudele che qui contribuiscono ad alleggerire un film decisamente cupo e sanguinoso, con momenti di sadismo.

Quelli che ci mostra sono lo stereotipo dell’investigatore da hard-boiled con la barba lunga e un’enigmatica dark lady come non se ne vedevano da tempo, inseriti in una Cina moderna e miserabile, indistinguibile dalle periferie occidentali. Il carbone anziché calore porta frammenti di vite perdute, tutto è ricoperto di una neve mai candida, ma sporca, quasi a rappresentare l’alone di morte che campeggia su tutto. Le molte scene in notturna aggiungono se possibile dolore e angoscia, grazie anche alla magnifica fotografia di Dong Jin Song, capace di esaltare e rendere quasi onirici fabbriche abbandonate, campi coperti di neve e bische illuminate al neon.

Photo: courtesy of 24° FCAAAL

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Non sono in grado di giudicare se e quanto questo film fosse meritevole dell’Orso d’Oro a Berlino rispetto ad altri concorrenti. Certo molto del merito per la riuscita va all’altrettanto premiato protagonista Fan Liao, una faccia buffa e insieme tragica, che con la dolente traditrice Lun Mei Gwei forma una coppia difficile da dimenticare.

Ultimo aggiornamento il 25 settembre 2015