Lech Majewski, artista, regista, poeta, uomo dalle mille risorse e dall’immensa conoscenza, è tornato dietro la macchina da presa. Dopo “I colori della Passione”, film ispirato al famoso dipinto di Bruegel “La Salita al Calvario”, oggi ci propone un viaggio dentro la vita di un uomo, dentro la nostra anima, dentro la cronaca di un paese, dentro un’epoca, l’attuale, che a ben vedere è ricca di simboli e riferimenti a miti, profezie, arte e filosofia.
Adam è un addetto di supermercato che soffre di una forma di narcolessia dettata dal male di vivere, dall’inquietudine, dal senso di colpa per essere stato l’unico sopravvissuto all’incidente in cui hanno perso la vita i suoi affetti più cari. L’uomo, un (ex)accademico e poeta con la crisi del foglio bianco, oggi si trascina in una quotidianità in cui il cruccio principale è la ricerca di spiegazioni razionali alla propria esistenza, cosa che lo induce ad allontanare le altre persone.
Dante, e la sua Divina Commedia, sembra fare breccia nella sensibilità di Adam che nei momenti di trance rivede i suoi defunti, i suoi angeli, i demoni e molte allegorie. Quando l’uomo non evade nel suo personale viaggio onirico, è circondato da una realtà che è un vero girone infernale. La cronaca riporta, infatti, una serie di catastrofi (ahinoi che hanno realmente colpito la Polonia nel 2010), i cui rimandi a passi biblici e/o apocalittici sono evidenti anche a un occhio scettico.
Majewski è un perfetto Virgilio, prende lo spettatore per mano e lo conduce nella dimensione del protagonista e nella storia recente del suo Paese con leggerezza, fluidità e sobrietà. Ogni immagine è ricca di arte, poesia, musica, ma mai viene eretto un muro tra l’autore e il pubblico. Al contrario, tutti si sentono ben accetti in questo mondo in cui possono scegliere cosa cogliere in base alle proprie chiavi di lettura, alle personali esigenze, alle momentanee voglie, non sentendosi guardati dall’alto in basso.
Il regista ha una cultura immensa, si percepisce sin dalle prime inquadrature, ma è soprattutto una persona attenta: non mette a disagio lo spettatore, né lo allontana. Non ostenta, non insegna, ma accoglie e accompagna. Stimola, induce a osservare i particolari, a ricordare un libro letto o una frase già udita, provoca la riflessione e lo scambio, sempre in una dimensione tranquilla e senza tempo.
Il film parla di vita, morte, eternità, separazione, sofferenza, colpa, religione, filosofia e molto altro, insomma parla dell’uomo e delle sue pene che non sempre implicano il turbamento del suo quieto vivere. “Onirica” è una di quelle opere da vedere e rivedere: non annoia e scorre verso l’epilogo. Forse non è per tutti, ma per molti più di quanto si creda. Se siamo veramente in un’epoca in cui la gente è meno recettiva agli stimoli delle varie forme d’arte, una colta e non supponente (!) sovraesposizione non può che far bene.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”