“Calvary” è un film dedicato ad un calvario, quello di un uomo, di una figlia, di un padre, di un marito, di una moglie, di una comunità e soprattutto del prete di paese. La storia si svolge in un piccolo villaggio irlandese, dove pare che chiunque viva una vita paragonabile a una Via Crucis, ma nessuna raggiunge i livelli di quella di James Lavelle e della persona che, inaspettatamente, un giorno si presenta nel suo confessionale. L’uomo misterioso non cerca alcuna assoluzione, al contrario, vuole solo comunicare una serie di fatti che motivano la sua volontà di ucciderlo la domenica successiva, dopo avergli concesso il tempo necessario per i saluti e per sistemare eventuali faccende pendenti.
L’intimidazione udita nella privacy della confessione sarà una minaccia da prendere sul serio, oppure lo sproloquio dell’ennesimo frustrato in cerca di attenzioni? E soprattutto, chi era esattamente seduto dall’altra parte della grata? Il padre confessore ha riconosciuto il suo interlocutore, ma non lo rivelerà a nessuno, e noi lo individueremo solo sul finale. Prima di ciò scopriremo, invece, gli altarini della popolazione locale: le frustrazioni, le bugie, le armonie ritrovate con singolari espedienti, e riconosciamo un po’ delle nostre debolezze.
Lo script ė nato da una mente arguta e, soprattutto, nord europea (!) che, quindi, non ci risparmia freddure e black humour, cosa che ci ben dispone per il resto della giornata. “Calvary” ė una vera sofferenza per i protagonisti e per lo spettatore che, perfino quando sa cosa sta per accadere, si prende una bella sberla, tirata senza troppi convenevoli. Perché il cinema di quelle parti è così: quando parte un pugno, state certi che la vostra mandibola ne soffrirà e contemporaneamente vedrete volare in modo molto verosimile qualche dente.
Il film non è perfetto, ci sono dei passaggi in cui perde tono e il ritmo si affievolisce, però la luce, gli scorci delle terre d’Irlanda e il rapporto padre-figlia, sono delicati e sobri come piace a noi e temperano lo sgradevole pensiero in sottofondo sin dall’inizio, legato proprio al motivo per cui un innocente sarà ucciso durante il fine settimana seguente. Quindi non sono previsti sconti, sconto, però ci viene risparmiato il melodramma e il tentativo di inculcarci un’opinione sulla legittimità o meno delle azioni di tutti e del reo-confesso, in particolare.
L’opera è godibile e, infatti, si è aggiudicata il premio della giuria ecumenica che, dato l’argomento trattato e l’abito indossato dal protagonista, direi sia un successo. Sufficienza raggiunta e, se mai un giorno dovesse arrivare nel Mare Nostrum, vale il tentativo.
Vissia Menza
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”