Amo troppo il cinema di Hong Kong e la nuova onda cinese per lasciarmi scappare un film in mandarino che concorra alla Berlinale! La sinossi di “Black Coal, Thin Ice” parlava di un thriller, uno di quei polizieschi ruvidi. Ambientata nel nord della Cina, la storia prende il via nel 1999 quando il detective Zhang rimane ferito durante le indagini di un caso di omicidio, al punto che viene spinto al pre-pensionamento. Cinque anni dopo, il killer ricomincia a colpire e l’uomo è intenzionato a riscattarsi: inizia quindi a indagare in privato, ma perde la testa per l’ambigua Wu Zhizhen. È facile intuire che la mia mente, leggendo una simile trama, fosse subito volata a quei film scuri, oscuri, sporchi e cattivi degli anni d’oro di Al Pacino, a cui a più riprese si sono ispirati i noir del Far East.

© Berlinale

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La luce, o forse dovremmo dire la penombra, che avvolge la pellicola, in effetti, è scura e gelida, la dominanza del colore nero e del giallo è piuttosto evidente e seguire le gesta del detective Zhang non è stato semplice.

La trama vorrebbe essere lineare e l’intento del regista è di mostrare una storia plausibile che trasudi la Cina contemporanea, dove pare accadano cose ben più incredibili di quanto possa venir narrato in una pellicola di finzione. E, come promesso, il protagonista tra ferite, scontri, infatuazioni, ne subisce di tutti i colori. Il punto ė che il film ė talmente silente e noioso, ed è farcito di lunghe inquadrature che non trasmettono alcuna emozione, da essere un calvario, che molti di noi hanno deciso di interrompere nella prima mezz’ora.

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Durante i 45 minuti introduttivi si versa in uno stato confusionale crescente e lo scoramento prende il sopravvento prima che subentri una noia tale da favorire solo eventuali recuperi di ore di sonno mancanti. La pellicola ė lenta e confusa, due elementi che mal dispongono la sottoscritta e che mi fanno propendere per la bocciatura: troppo il sangue finto, troppi i silenzi, troppa la recitazione rigida e troppe le frasi urlate senza motivo. Opera inadatta a un pubblico abituato alle roboanti produzioni hollywoodiane. Forse, gli amanti del cinema indipendente potrebbero ravvedere del buono, spero solo non gridino al capolavoro, perché quello proprio non l’ho visto!

Vissia Menza