“ll Misantropo”, pietra miliare della letteratura d’oltralpe, è da sempre pièce ironica, fredda e spietata che critica una società antica tremendamente simile all’attuale. Molière, padre di Alceste, suo alter ego su carta ne “Il Misantropo”, si è tolto lo sfizio di prendere di mira una corte, una casta, un modo di pensare e agire, che lo avevano turbato. Misantropo, parola desueta utilizzata da chi parli di una persona (frequentemente una primadonna) asociale e acida, uomo o donna che sia.

Non so dirvi se a Molière o al suo Alceste sarebbe piaciuto andare in bicicletta, ma è assai probabile che gli abitanti dell’Ile de Ré un po’ di giubilo lo provino, e sicuramente a Philippe Le Guay (il regista de “Le Donne del 6° Piano”) è piaciuto tratteggiare nel suo nuovo lavoro un moderno Alceste alle prese con energiche pedalate e freni traditori mentre va su e giù per quelle ventose e poetiche terre, durante il suo buen ritiro, dopo screzi, dissapori e crolli nervosi, reali o presunti che fossero.

Colui che tenta di vivere come il personaggio che ha interpretato per decadi calcando nobili palchi, è Serge (Fabrice Luchini), attore un tempo di grido, allontanatosi da oramai troppo tempo dalle luci della ribalta. Questa vita solitaria ha eliso in lui ogni traccia di buone maniere e convenevoli, ma un giorno, inaspettatamente, il suo isolamento viene contaminato, quindi invaso e infine distrutto, dall’arrivo del famoso collega Gauthier Valence (Lambert Wilson), che lo lusinga, ingolosisce e corteggia, pur di averlo al suo fianco ne “Il Misantropo” (ovviamente), e da una attraente donna (Maya Sansa) in procinto di lasciare l’isola.

Insomma, il novello Alceste e l’uomo bello ricco e famoso si contenderanno una volta in più i riflettori e il cuore di un’affascinante e inavvicinabile italiana, il tutto cadenzato dalle quotidiane prove dei passaggi più attuali dell’opera di Molière, sino a un epilogo in cui ci si dimentica dell’assenza di un palcoscenico.

La pellicola si apre in modo frizzante, con situazioni divertenti e grottesche, vero preludio di una messa in scena senza esclusione di colpi, che con dolcezza ci trascina in un mondo senza tempo, in cui la conoscenza di Molière si fa sempre più necessaria per impedire alla distrazione di prendere il sopravvento. Essere cresciuti a stretto contatto con i cugini francesi o ricordare le letture scolastiche è, infatti, inizialmente un valido supporto, poi condizione imprescindibile per il successo della serata.

Il film non è per tutti, gli amanti dei classici adoreranno i piccoli riferimenti, le contaminazioni e i dettagli presenti qua e la; gli estimatori della pièce probabilmente riconosceranno più di un passaggio; gli altri invece, accorsi per l’amore verso il regista e il protagonista, potrebbero rimanere sorpresi.

“Molière in Bicicletta” è, infatti, una di quelle pellicole alte nel messaggio al punto d’essere poco accessibili ai più, e questo nonostante in madrepatria abbia dominato il botteghino. Ma, si sa, Molière in Francia è una sorta di eroe alla stregua del nostro Manzoni, ad altre latitudini invece la sua conoscenza è solo sporadica, quindi temo che l’intelligenza e l’umorismo della sceneggiatura, e la bravura di Luchini, non saranno sufficienti a trascinare orde in sala. Ai posteri l’ardua sentenza…

MOLIERE IN BICICLETTA - Secondo Trailer italiano ufficiale