Il film più toccante, sorprendente, intelligente di questa edizione del Festival di Roma, a oggi, è senza dubbio il dolce, triste, delicato e intenso “Her” di Spike Jonze. Il nuovo lavoro dell’eclettico cineasta, considerato da molti un uomo visionario e rivoluzionario nel panorama del cinema statunitense, ci regala una storia unica, interpretata da un incontenibile Joaquin Phoenix e dalla più che mai seducente Scarlett Johansson, qui negli inconsueti panni di un sistema operativo.
In un luminoso appartamento dalla magnifica vista su una città futuristica (nata dalla commistione degli skyline di Los Angeles e di Shanghai), vive uno scrittore fragile e solo, in sofferenza per l’imminente divorzio dalla donna con la quale è cresciuto. Theodore, questo il suo nome, non riesce a riprendersi e, nonostante viva nell’epoca delle persone eternamente connesse alla rete, è ogni giorno più solo. Le cose cambiano grazie a Samantha, il nuovo sistema operativo, e alla sua sensuale voce di donna. Samantha è comprensiva, sensibile e si evolve, impara come i bambini, assorbe le notizie, le sensazioni e scopre il mondo in modo casuale e istintivo, divenendo famelica di vita.
Affresco dell’era digitale, fotografia di un mondo che cambia ma, soprattutto, favola sulla solitudine e sulla necessità di amare ed essere amati degli esseri umani. Mentre Theodore inizia ad affezionarsi a una voce, che pare assumere le sembianze di una persona in carne ed ossa, e Samantha avverte tutti i limiti della sua incorporeità, noi ci dimentichiamo di essere di fronte ad un’opera di finzione ne rimaniamo rapiti, immedesimandoci e soffrendo coi protagonisti. Perché anche la bella Scarlett, che sentiamo soltanto, è folgorante per quanto riesca solo con l’ausilio del respiro e della timbrica a riempire una stanza.
Nonostante l’idea di un’infatuazione tra l’uomo e la macchina sia già stata esplorata, nessuno prima di Jonze era riuscito a farci percepire come reali i sentimenti e soprattutto a farci dimenticare di essere di fronte a un film. Il regista pare essere in grado di entrare nelle menti di tutti noi e ha un’innegabile abilità nel rendere i nostri disagi visibili su di uno schermo. Averlo in carne e ossa a Roma era quindi un’opportunità troppo ghiotta per lasciarcela scappare.
Rientrati quindi in sala, abbiamo ripercorso e scoperto qualcosa in più sulla carriera di un uomo che è riuscito a unire generi differenti creando un nuovo modo di fare cinema. Con un solido background musicale, con anni di esperienza nel mondo del videoclip e degli spot pubblicitari, con il coraggio di esprimersi con un linguaggio più immediato, senza però rinunciare ad affrontare i problemi che affliggono gli uomini, Jonze narra le inquietudini, mostra persone forti e al contempo fragili, parla di vita con uno stile particolare. Le sue pellicole sono caratterizzate da una fotografia pacata, una luce diffusa e una narrazione dolce. Con dialoghi mai violenti, con sofferenze spesso visibili, i suoi protagonisti sono sempre indimenticabili. E anche questa volta non si smentisce, anzi, dimostra di essere cresciuto.
Durante la chiacchierata pomeridiana scopriamo l’importanza di avere un set quieto e intimo e quale sia l’opera del passato presa a riferimento per assecondare le necessità degli attori e dei personaggi. Chiediamo come avvenga il processo creativo, come nasca un soggetto in casa Jonze, e apprendiamo che non vi sia alcuna routine. Ci spingiamo a cercare conferma d’idee che ci siamo fatti osservando i protagonisti e riceviamo repliche inattese, relativamente ad analisi tanto intriganti ed intellettualmente elevate quanto ben oltre il pensiero originario del regista. Insomma, il pubblico è famelico di risposte, spazia da un film all’altro, da un soggetto a un altro, individua fil rouge (in)esistenti, fa complimenti (in)volontari, è incalzante senza mai mettere in difficoltà il regista.
Jonze è una voce fuori dal coro, appartiene a quel gruppo di autori interessati al fare e al comunicare in modo diretto, prendendo in prestito qualsiasi mezzo utile talvolta sganciandosi dalla tradizione, e conferma molte delle nostre convinzioni. Anche oggi rincasiamo quindi più ricchi, credendo di conoscere un po’ meglio il brillante uomo che si cela dietro la macchina da presa.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”