L’edizione 2013 del TIFF si ė conclusa la scorsa settimana con numeri da capogiro, ennesimo traguardo raggiunto da una macchina ben oliata che ha saputo offrire a Press, Industry e pubblico accorso per l’occasione un gran quantitativo di opere di qualità, dimostrando di essere una volta di più un importante riferimento per il mondo del cinema non solo in Nord America.

Ė quindi giunto il momento di dedicare qualche riga a due pellicole di cui sentiremo di sicuro parlare nei mesi che ci separano dagli Oscar 2014: i (nostri) vincitori sono “Dallas Buyers Club” e “12 Years A Slave“.

La più grande emozione ė stata sicuramente quella provata durante la proiezione in un gigantesco IMAX di “Dallas Buyers Club“, pellicola che di fanta-spettacolare aveva non gli effetti speciali bensì due attori: il protagonista e la sua spalla. Matthew McConaughey e Jared Leto il prossimo giro all’Academy probabilmente lo trascorreranno nelle prime file a sorridere alla stampa di tutto il mondo, mentre tesi come una corda di violino attenderanno di scoprire se si saranno aggiudicati la magica statuetta. Il primo ci ha regalato una prova intensa nel corpo e nello spirito: smagrito sino all’osso, ha modificando timbrica e movenze per calarsi nei panni dell’ammalato uomo texano Ron Woodroof, al punto di farci dimenticare di essere un sex symbol da oltre 20 anni. Ma non è stato l’unico idolo delle giovani a rendersi irriconoscibile e poco attraente: Jared Leto per interpretare Rayon è tanto trasfigurato quanto adorabile e si fa amare sin dal suo ingresso in scena. Ron e Rayon, uniti dalla malattia e soprattutto dalla voglia di vivere, formeranno un sodalizio senza precedenti, utile per la loro sopravvivenza e per quella di molti altri. “Dallas Buyers Club” prende, infatti, spunto da una storia vera e… che storia! Quasi 600 persone sono rimaste con il fiato sospeso e, travolte dalle vicende sullo schermo, hanno patito, tifato e sperato sino all’ultima inquadratura, dopo di che vi ė stato solo spazio per gli applausi, tanti e meritatissimi.

A Los Angeles il prossimo febbraio c’ė da scommettere che arriveranno anche Steve McQueen e il cast del suo “12 Years A Slave’” pronti a dare non poco filo da torcere agli altri contendenti all’Oscar. Il film, proiettato più e più volte a Toronto, spesso e volentieri alle prime luci del giorno, ha fatto da subito parlare di se per l’inconfondibile stile del regista. La storia, tratta dall’omonima autobiografia di Solomon Northup, narra di come un musicista sia stato ingannato, rapito, reso schiavo e solo dopo dodici lunghi e dolorosi anni sia riuscito a tornare libero. Questo calvario si focalizza sull’uomo, sulla sua dignità e determinazione nel voler tornare a casa dalla famiglia. Steve McQueen non rinuncia a far provare ai presenti le sensazioni del suo protagonista, il che implica molta inimmaginabile sofferenza. Non stupisce quindi che nei corridoi spesso si sentissero commenti di spettatori soddisfatti ma esausti per le pene sofferte. Noi, che a Steve McQueen siamo oramai abituati, riconosciamo che ci avrebbe stupito il contrario: il suo punto di forza è proprio riuscire a regalarci ogni volta impeccabili e travolgenti performance che esplorino la sofferenza.

Insomma, al Kodak Theatre si prospetta una sfida all’ultimo sangue e nell’attesa non ci resta che andare al cinema.