In attesa di conoscere i vincitori dei Pardi 2013, parliamo di cinema, paliamo di film in concorso e commentiamo un’opera che ha un’ottima fattura e che soprattutto, dato l’argomento trattato, potrebbe avere qualche chance: Tomogui.

© Festival del film Locarno

Un detto popolare dice “tale padre, tale figlio” e questo film giapponese in Concorso Internazionale sembra sposare la medesima tesi, peccato che il padre in questione non sia un modello di rettitudine da promuovere e imitare: la pellicola “Tomogui”, infatti, parla di violenza domestica.

Ma facciamo un passo indietro, siamo alla fine degli anni ’80 e andiamo nella cittadina di Kawabe in riva ad un fiume, questo è il luogo dove incontriamo Toma (Masaki Suda), un adolescente che vive con il padre e la sua nuova compagna, ma che ogni giorno trova il modo di trascorrere anche del tempo con la pratica e determinata madre. Le giornate di Toma si complicheranno a 17 anni quando dovrà fare i conti con  le prime pulsioni ormonali tipiche di quell’età e con le sue intime paure.

© Festival del film Locarno

Toma convive, infatti, con la paura di aver ereditato una terribile peculiarità del padre, scoperta con il sopraggiungere dell’adolescenza, o meglio, al momento dell’amplesso. Suo padre, purtroppo, è un vero drogato del sesso, un uomo succube delle proprie pulsioni, incline all’orgasmo solo se umilia, schiaffeggia o soffoca la compagna e che riesce ad avere rispetto per il gentil sesso solo se in età fertile e/o in dolce attesa.

Insomma, Toma deve fare i conti con un uomo che, usando un gergo chiaro e per alcuni politicamente scorretto, è un violento, un maniaco, un deviato da isolare, curare, prendere a calci nel sedere (aggiungo io in quanto femmina). Di questo sono coscienti tutti al villaggio e il ragazzo ė atterrito per più di un motivo: da un lato non si capacita del fatto che le donne non reagiscano in modo altrettanto estremo ai soprusi (al massimo se ne vanno), dall’altro non sa come gestire, modificare, cancellare i suoi emergenti -malsani- istinti.

© Festival del film Locarno

Che davvero non vi sia una soluzione se non imbracciare il fucile per fermare le persone con problemi sessuali? Che alcune tare siano veramente ereditarie? L’unica cosa sicura ė che certi problemi, certi dubbi, certi timori e paure siano universali e che l’impotenza difronte ad essi dilaghi da nord a sud.

“Tamagui” leggiamo essere  il frutto della collaborazione tra Shinji Aoyama e l’autore dell’omonimo bestseller (il film ė, infatti, la trasposizione di un racconto – provocatorio – nato dalla penna di Shinya Tanaka), che qui decidono di alzare il tiro portando le azioni di tutti alle estreme conseguenze. L’opera di fatto però inneggia all’umanità, analizza i legami di sangue, le reazioni istintive e soprattutto dipinge le donne come vere eroine forti e risolute.

Film potente nonostante le immagini siano tutto sommato pacate, perfetto per un festival, di fatto ha le tutte le carte per vincere un premio e ottenere una diffusione più massiva. Promosso.