Oggi torniamo indietro agli anni ’60, andiamo in Argentina, dov’è arrivato (e si balla a più non posso) il twist e si sente parlare molto tedesco. In quella terra in cui molti dopo il secondo conflitto mondiale si sono rifugiati, accompagnamo Wakolda nel suo viaggio attraverso il deserto della Patagonia, al seguito di Eva, Enzo e i loro figli. Una famiglia come molte altre, in partenza verso Bariloche dove vuole aprire una pensione, alla quale si unisce un europeo, il primo futuro ospite.

L’uomo è un medico ed è questo  elemento a convincere Enzo: Eva è incinta di due gemelli e il parto potrebbe non essere semplice. Sin da subito, tutti i componenti della famiglia rimangono stregati dalla sua personalità, dai suoi modi e dai suoi soldi, così come lui stesso rimane intrigato dai suoi ospiti. Il motivo è però inimmaginabile: gli ignari Enzo e Eva sono in compagnia del famigerato dottor Morte, a cui hanno appena dato la possibilità di raccogliere nuovi dati per le sue folli ricerche.

© Historias Cinematograficas – Sebastian Puenzo

Il film ruota attorno ad un periodo della vita di Josef Mengele avvolto nel mistero, il suo soggiorno-fuga in Patagonia è, infatti, poco conosciuto e la regista non pare interessata alla ricostruzione storica degli eventi. Lucia Puenzo non crea un documentario o un bizzarro bioptic, al contrario, racconta una storia, quella di cinque persone che subiscono il fascino di un uomo carismatico, e l’io narrante è proprio la giovane, pre-adolescente, Lilith (anche detta Wakolda, appunto) oggetto della curiosità dell’uomo.

La regista si domanda com’era la vita nelle comunità in cui approdarono i nazisti, com’era la quotidianità, cosa pensavano le persone che si trovavano a convivere con i criminali di guerra, e come reagirono le famiglie tedesche presenti in Argentina da prima del conflitto mondiale. Il fulcro è quindi la gente, i giovanissimi e la loro prospettiva, le loro reazioni ad una convivenza davvero unica.

© Historias Cinematograficas – Sebastian Puenzo

E anche le immagini tentano, a loro modo, di essere particolari nel mostrare gli uomini, la terra (l’immensa Patagonia), le alchimie e i turbamenti. Così la fotografia, seppur non raggiungendo livelli eccezionali, riesce a catturare i luoghi sfumando sempre da un tono all’altro, evitando forza e contrasto, riportandoci alla memoria le fotografie amatoriali delle ferie di quarant’anni fa, una luce che sembra acerba ma non è banale, soprattutto perché diviene valido e imprescindibile supporto alla narrazione.

In definitiva, il film affronta un argomento non semplice e riesce a non irritare il pubblico, soprattutto, col trascorrere delle ore ti entra sottopelle e non ti lascia per un bel po’.