Un castello in Italia, una pesante eredità per dei quarantenni del nuovo millennio, un insieme di ricordi divenuti un fardello, memoria di un passato glorioso cui ha fatto seguito la caduta di una famiglia e di una dinastia, specchio visibile dello sgretolarsi dei legami affettivi che dovrebbero unire i sopravvissuti. Una dimora importante e imponente, specchio di animi smarriti, di uomini incapaci di competere col glorioso passato e/o di stare al passo coi tempi.

Louise (Valeria Bruni Tedeschi), ex-attrice, senza una vita privata e a caccia del grande amore e di un figlio; Ludovico (Filippo Timi), il fratello malato di Louise, sognatore e attaccato al ricco passato; e Nathan (Louis Garrel), un giovane attore dal rapporto conflittuale col padre regista, sono i tre protagonisti di questa storia dedicata ai legami di famiglia, alla generazione dei neo-quarantenni e alla loro disfatta affettiva.

© Festival de Cannes

La regista Valeria Bruni Tedeschi si mostra molto determinata sin dalle prime inquadrature, vuole creare un’atmosfera colta, decadente, triste e si mette in gioco in prima persona interpretando la trasandata e incasinata Louise che nel castello dall’aria umida e vecchia incontra una madre oramai rassegnata alla perdita e un fratello corroso dalla malattia. Poche frasi, alcune inquadrature e oggettivamente le caratteristiche di tutti i protagonisti sono palesi, quindi siamo pronti ad assistere a un’opera dall’intreccio che ci trascini sotto la pelle di questi personaggi molto reali e invece… niente!

Amara è la sorpresa (o eccessiva la fiducia riposta) nel vedere una pellicola stereotipata, leggera e che, purtroppo, ci rende dubbiosi sulla protagonista: Louise è la versione bilingue e meno raffinata di una qualsisia donna repressa e istericuccia più volte interpretata efficacemente da Margherita Buy, e che qui siamo di fronte ad un’imitazione si nota subito; mentre la regia pare ispirarsi ai grandi del passato e/o agli attuali grossi di calibri nostrani, quali Tornatore e Sorrentino (per citare i due cineasti che quest’anno ci hanno regalato nuove emozioni), ma il loro spessore rimane solo fonte d’ispirazione e una meta che auguriamo alla signora Bruni Tedeschi di raggiungere a breve.

© Festival de Cannes

Ciò che a prima vista potrebbe apparire il punto forte della storia, l’attingere al proprio vissuto per rendere solida la trama, si rivela un’arma a doppio taglio che provoca insoddisfazione nel pubblico. Di storie autobiografiche ve ne sono molte, ma il romanzarle, adattarle al grande schermo, non rendere il dramma per forza penoso facendo leva sul pietismo, sono tutti espedienti che avrebbero potuto giovare a una pellicola potenzialmente ricca che invece è poco efficace nel tragedia, come nella favola.

“Un Château en Italie” è un’opera che potremmo paragonare al castello sullo sfondo: avrebbe potuto essere bello, ma la poca attenzione lo rende triste e destinato all’oblio.