4.500 anni fa, mentre tu facevi la tua guerra,
noi abbiamo creato l’agricoltura.
2.000 anni fa, mentre tu facevi la tua guerra, abbiamo stabilito regni di buon governo.
1.000 anni fa, mentre tu facevi la tua guerra, abbiamo creato le fondamenta del reggae e

del jazz.
Oggi, superando la tua guerra, costruiremo insieme la tua pace. 

Il padre di Fatu lascia la moglie in Portogallo e torna dopo molti anni in Guinea Bissau per partecipare al matrimonio della figlia. La giovane donna insegna all’università, mentre il futuro marito è un noto musicista. La cerimonia nuziale è prevista a Tabatô, villaggio celebre per la sua cultura musicale. Un tempo vi si recavano griot da tutto il paese, oggi che la radio la fa da padrona le cose non sembrano comunque molto cambiate.

Durante il tragitto diventa evidente che il vecchio Bajo è gravemente traumatizzato, porta con sé reliquie della guerra, nella sua valigia ha strani oggetti, frammenti di un passato dal quale non riesce a separarsi, ricordi delle sue esperienze di soldato durante la guerra coloniale.

Il viaggio verso Tabatô riporta così l’uomo, come in un lungo sogno, o meglio un incubo, a contatto con luoghi della memoria (un cimitero, un cinema, il porto) e con la sofferenza di tutto un popolo.

Menzione speciale al Premio Opera Prima della Berlinale 2013, LA BATTAGLIA DI  TABATÔ è un film visivamente affascinante, che incorpora molti elementi documentali nella sua storia: riferimenti alle conquiste storiche e alle tradizioni culturali dell’Africa Occidentale mandinga, come i Djudiu, i Consiglieri Reali degli imperatori Malinké, che venivano chiamati nei villaggi a comporre le liti tribali; il coinvolgimento della cittadinanza di Tabatô e dei suoi musicisti; e la vita reale del Paese – il vecchio con la sua valigia di reliquie, i giovani stanchi dei continui, sterili colpi di stato.

Quando il padre finalmente esorcizza sanguinosamente i suoi demoni e i musicisti del villaggio cercano di scacciarlo suonando i loro balafon, diventa una battaglia della guerra contro la pace e del passato contro il futuro. Il film è una metafora della situazione attuale in Guinea-Bissau, in bilico tra l’abisso della guerra e la pace di questo villaggio musicale chiamato Tabatô, che dimostra che la soluzione è già lì pronta, senza bisogno di Onu e di interventi internazionali.

La genesi del film il regista portoghese João Viana la racconta così: “Ero a Berlino la prima volta che ho sentito parlare di Tabatô, questo villaggio musicale al centro di quella grande ‘confusione militare’ che è la Guinea Bissau, il terzo paese più povero del mondo. Un giovane violinista tedesco mi ha detto che voleva fare un ‘workshop’ di djembé in quel villaggio mitico. Quando ero un ragazzino, in Angola, i genitori mandavano i loro figli in Germania per imparare la musica. Ora era il contrario.”

Andò a Tabatô più per curiosità che per dei sopralluoghi, e si trovò in un luogo così particolare che vi rimase a lungo, dormendo sul pavimento come i suoi abitanti musicisti. I quali lo accolsero benissimo e lo consigliarono, fornendogli anche il capo del villaggio come protagonista prima del cortometraggio e poi del lungometraggio che girò in seguito, dopo aver trovato i finanziamenti.

La visione del film è inizialmente piuttosto faticosa per una ragione elementare e molto pratica: João Viana soffre di acromatopsia, un disturbo congenito della vista per cui vede solo il bianco, il nero e il rosso, e ha ritenuto opportuno condividere con noi spettatori la stessa gamma ridotta, obbligando i nostri pigri sguardi a diventare soggetti attivi della visione. Appena assuefatti ci si spalanca davanti un mondo magico, visionario e assolutamente speciale.

A Batalha de Tabatô