Prendete 116 uomini africani fra i 25 e 40 anni – delle più disparate nazionalità, etnie, lingue, dialetti e religioni – rinchiudeteli per 3 mesi in un albergo disabitato sulle Alpi a 1800 metri di altitudine e a 22 km di tornanti dal paese più vicino, a non fare assolutamente nulla tutto il giorno, in completo isolamento, senza poter uscire né telefonare a casa: e aspettate per vedere quello che succederà.
No, non è la trama di un testo inedito di Beckett o Jonesco, e neanche lo strampalato regolamento di un qualche nuovo reality show. E’ quello che è successo davvero nell’estate 2011 ad un gruppo di profughi.
Da anni ormai molti africani lavoravano in Libia, erano operai specializzati, artigiani, piccoli commercianti; essendo di pelle nera erano però facilmente riconoscibili come stranieri. Quando scoppiarono le prime rivolte contro Gheddafi furono costretti a nascondersi per evitare di essere arruolati a forza nelle truppe del Raìs. Molti riuscirono a fuggire su uno dei barconi tristemente noti nelle cronache luttuose degli ultimi anni: accolti inizialmente al CIE di Manduria, alcuni di loro fecero domanda per il riconoscimento di stato di rifugiato politico e furono così mandati a Montecampione (stazione sciistica in provincia di Brescia) in un grande albergo, deserto come sempre nella stagione estiva. Lì per mesi hanno vissuto in una sorta di limbo, nell’attesa che venisse riconosciuto il loro status di rifugiati.
Francesco Cannito e Luca Cusani videro la notizia al telegiornale e decisero di girare un breve filmato. La storia era così paradossale, ricca di spunti e di protagonisti interessanti che ne uscì il documentario di quasi un’ora dal titolo vagamente ironico de IL RIFUGIO, in cui raccontano di quelle molte vite sospese tra sogni e aspettative. Tra i ritratti che emergono: un predicatore nigeriano fuggito dal suo Paese per le gravi tensioni tra il movimento islamico e i cristiani; un profugo del Gambia, oppositore più volte imprigionato e torturato; un nigeriano calciatore professionista in Libia che spera di ricostruirsi una vita anche grazie allo sport.
Casalinga per nulla disperata, ne approfitta per guardare, ascoltare, leggere, assaggiare, annusare, immergersi, partecipare, condividere. A volte lunatica, di gusti certo non facili, spesso bizzarri, quando si appassiona a qualcosa non la molla più.