Alla fine sembra quasi di averlo conosciuto Mohamed Bouazizi: era un 26enne fruttivendolo, falsamente accusato di aver derubato e picchiato una cliente, nota provocatrice al soldo della polizia, che il 17 dicembre 2010 si diede fuoco davanti al palazzo del Governatorato di Sidi Bouzid (morirà il 4 gennaio dopo diciotto giorni di agonia). Diede così inconsapevolmente il via alle proteste popolari che in Tunisia sfociarono in una vera e propria rivoluzione, che fece crollare prima il Governo del dittatore Ben Alì e poi quello successivo dei suoi uomini-ombra, fino alle libere (più o meno) elezioni del 23 novembre 2011, che portarono alla creazione di un’Assemblea Costituente e di un Parlamento dominato dagli Islamisti moderati.

La stampa europea ha voluto chiamarla poeticamente “rivoluzione dei gelsomini”, ma i fiori c’entrano davvero poco. E’ stata una protesta partita dal basso, dai più derelitti, come i colleghi del povero Bouazizi, giovani come lui con il diploma superiore ma senza la minima possibilità di trovare un lavoro in Patria; ridotti ad affittare un carretto (nessuno è in grado di comprarselo), andare all’alba ai mercati generali e prendere a credito frutta e verdura che pagheranno la sera dopo averla venduta. Gente espropriata della terra e dei beni con pretesti immaginari da parte di funzionari corrotti collusi con l’odiata, corrottissima polizia. Gente che ad un certo punto ha detto basta, dégage, che potremmo coloritamente tradurre “smamma”.

Il documentario si basa principalmente su interviste e testimonianze: nella prima parte di amici e parenti del povero Bouazizi, inquadrando per bene la situazione precedente, poi di cittadini comuni (giusto qualche sindacalista e avvocato, nessun politico) con l’inserimento di spezzoni di telegiornali e di alcune, davvero impressionati, riprese amatoriali girate durante le repressioni poliziesche dei pacifici sit-in di protesta. Il regista (è anche attore e sceneggiatore) Mohamed Zran non ci risparmia scene sanguinarie, dolorose, persino ripugnanti, ma va dritto al cuore del problema: come quando mostra, in silenzio, i due giovani che si sono fatti cucire le labbra col filo e hanno iniziato un lungo sciopero della fame – non c’è bisogno di spiegazioni e commenti, basta l’immagine. Lo si sente pochissimo, lascia il posto alle testimonianze addolorate e furiose ma anche a quelle fiduciose e positive, come quelle dei giovani che per settimane, 24 ore su 24, hanno presidiato le pagine facebook dedicate alla rivoluzione, “perché tutto il mondo sapesse”. O dell’anziano intellettuale che, emozionato, dice ”non parliamo da 40 anni, non siamo più capaci di parlare”; un po’ come il giovane insegnante: “Dobbiamo ricominciare dalle basi, usare il vocabolario, re-imparare il significato di Libertà e Democrazia”.
Un film duro, doloroso, ma utile, anzi necessario.