Gus Van Sant director of Promised Land

© Scott Green

A San Valentino è approdato anche nei nostri cinema “Promised Land”, film che segna il ritorno di Gus Van Sant dietro la macchina da presa e di Matt Damon alla scrivania, per co-sceneggiare (con John Krasinski) un’opera di Dave Eggers. Elenco di nomi che ci fa raggiungere la prima berlinese della pellicola con molto timore. In questi casi, infatti, l’aspettativa è davvero alta e conseguentemente l’insoddisfazione in è agguato.

Alzato il sipario ci ritroviamo a tavola in un ristorante di lusso di fronte ad un giovane che sta discutendo di opportunità, denaro e nuovi contratti. È evidente che il ragazzo abbia fatto strada e ne sia fiero, anche perché la fiducia che gli viene accordata durante quel pranzo ne è la prova. Così, pochi giorni dopo il lavoro porta Steve Butler in campagna, in una di quelle cittadine dal nome mai sentito prima, in cui i ritmi di vita non sono quelli che si vedono nei film e che sta per essere stritolata dalla crisi economica, luogo che in pochi giorni riuscirà a far crollare tutte le sue certezze.

I cittadini vivono di sussistenza e di sussidi statali, il luogo è davvero bucolico e veramente “bio”, ma ciò non è sufficiente a garantire la sopravvivenza della comunità. Come suole in questi casi, si apre uno spiraglio il giorno in cui una grande industria (quella in cui lavora il buon Steve) decide di trivellare sotto i loro piedi, diventando fonte di denaro insperato, quell’occasione da non perdere. Ma, in cambio di terra, vengono offerti oltre ai soldi molti rischi, alcuni non dichiarati o solo accennati.

Promised Land by Gus Van Sant

© Scott Green

Cosa accada è prevedibile, oramai anche nelle zone rurali è arrivato internet e con pochi click dubbi e scompiglio rendendo il compito di Steve e della sua collega Sue (Frances McDormand) più difficile del previsto sino a diventare un’impresa impossibile con l’arrivo di un inatteso ambientalista (John Krasinski), anche se le sorprese saranno molte.

Questa storia pone l’uomo difronte all’annosa scelta tra vivere nell’agio rischiando la pelle oppure tirare a campare alla vecchia maniera con un futuro incerto, insinua il dubbio se sia sempre migliore il nuovo; e sottolinea la crescente difficoltà delle nuove generazioni nel mantenere saldi i principi e vivi i sentimenti. In generale convinzioni, opportunità e i capisaldi della vita di ognuno sono le corde toccate da quest’opera.

“Promised Land” mostra quel lato dell’America per certi versi diverso da noi, un paese ricolmo di bravi ragazzi che credono ciecamente in quello che fanno e di uomini qualunque cui non è negata la seconda chance ma mostra anche la freddezza della moderna società dove la salute è barattabile con un po’ di momentaneo agio, e come sia semplice perdere il contatto con la realtà. Tutti temi che, in un periodo di crisi globale, attecchisco facilmente.

La sensazione è quindi che il mormorio in corridoio fosse legato al fatto che non ci piace vedere la nostra stoltezza su maxi schermo. Il film è ben fatto e ben recitato, non strabilia, non è Erin Brockovich e neppure un eco-thriller, è solo una parabola dei buoni sentimenti all’americana per gli americani. Noi siamo avvisati ;)