È venuto il momento di approfondire due film della sezione Panorama accomunati dal soggetto e dallo svolgersi in paesi davvero distanti dal nostro. Andiamo prima a Taiwan e poi ci trasferiamo in Corea.

Arvin Chen's Will You Still Love Me Tomorrow?

© Berlinale

“Will you still love me Tomorrow?” è la storia di come un felice e amorevole padre di famiglia riscopra istinti assopiti da anni e decida di vivere la propria omosessualità, dopo il fortuito incontro con un giovane assistente di volo che necessita di un nuovo paio di occhiali. Il film è di una dolcezza sorprendente: il protagonista riesce a stupirci per la sua abilità nel comunicare imbarazzo, estraniamento e molto impaccio in situazioni in cui il suo (aspirante) partner appare a proprio agio. Luoghi, abitudini, colori (tutto è pastello, tendente al lilla e marcatamente etereo) e linguaggio del corpo appartengono ad una cultura diversa e la cosa si percepisce nettamente senza precludere la riuscita dell’opera che comunque riesce a dirci tantissimo: si ride per le situazioni divertenti che si creano, si prova tenerezza per la titubanza con cui l’uomo esplora le sue emozioni e si tifa per lui quando affronta la situazione.

Arvin Chen's Will You Still Love Me Tomorrow?

© Berlinale

E poi c’è la consorte, che man mano che trascorrono i minuiti da donna appagata inizia a struggersi sino a una chiusura che è tutta nelle sue mani. Eh già, alla fine il messaggio è talmente universale che dimostra come gli usi e costumi possano essere diversi, ma emozioni e sentimenti siano senza barriere. Storia che infonde speranza che ci si riesca a sganciare dalla coppia tradizionale e dal concetto di amore errato se non eterosessuale. Il regista manda un messaggio chiaro con un candore tale da renderlo impossibile da rifiutare e al contempo facendoci percepire la pesantezza delle difficoltà che sorgono da ambo i lati, ben temperate  con situazioni giocose e divertenti. La forza di questa pellicola sta proprio nel non rinunciare a nulla, di raccontare tutto da diverse prospettive, sempre rigettando il concetto di sporco, bravo!

Il film “White Night” invece ha un taglio opposto, è cupo, buio, freddo. Girato di notte, in zone desolate, mostra l’incontro casuale tra due sconosciuti tanto soli quanto alla ricerca di calore momentaneo. E’ chiaro quindi che la situazione e i luoghi riflettano l’animo triste dei protagonisti. In questo caso, però, percepiamo anche tutta la differenza culturale, il film è fatto di silenzi e rumori, con una colonna sonora che entra in scena in modo differente da quanto siamo abituati, gli scambi sono asciutti e grezzi e non abbiamo gli strumenti per comprendere se sia voluto oppure il regista sia semplicemente inesperto.

white night directed by LeeSong Hee-il

© Berlinale

Illuminante si è quindi rivelato l’incontro con regista e cast al termine della proiezione che rivelandoci molti tasselli sino a quel momento oscuri ci ha permesso di filtrare in modo corretto quanto visto. L’omofobia era un fenomeno del tutto sconosciuto in quel paese sino a poco tempo fa, il cineasta ha quindi voluto mostrare le reazioni a questa situazione inattesa. Un misto di spaesamento, frustrazione e molta rabbia che si riversa non solo sul colpevole ma anche nei rapporti con gli altri. A questo punto comprendiamo che la rozzezza di certe scene era voluta e strumentale a una reazione forte e chiara: la società coreana è tradizionalmente molto aperta e ci piace cosi!

white night directed by LeeSong Hee-il

© Berlinale