Quando un film compare magicamente dal nulla, non ha una cartella stampa o un sito web di riferimento, gli elementi per comprendere che qualcosa non vada ci sono tutti, basta volerli vedere! Inutile levataccia l’altra mattina, con più di una settimana di festival sulle spalle: un film che l’accattivante sinossi ci faceva prospettare come versione maschile, più composta e tutta nipponica di “Camille Redouble”, “Playback” invece si è rivelato di una noia insopportabile.

I segni c’erano tutti, solo che dopo “Motorway” – visto solo 7 ore prima – ero ancora sotto l’influenza del fascino orientale e non potevo credere di necessitare del blocco per gli appunti al fine di non perdermi in una narrazione farraginosa e confusa. Ma facciamo il punto: il protagonista è Haji, un incasinato attore, con un matrimonio andato a rotoli e prospettive tutte da comprendere. Un giorno, in occasione di una cerimonia fuori Tokyo, si addormenta nell’auto di un amico e si risveglia 20 anni prima, ai tempi della scuola. Ma non è l’unico ad aver viaggiato nel tempo, pare infatti che pure il suo migliore amico e la sorella abbiano lo stesso problema.  Più di così non posso spingermi, dato che avrei bisogno di una guida e di una sinossi più articolata, di cui non dispongo.

Le domande a cui devo trovare una risposta oltre alle 10 righe presenti sul catalogo sono: chi è il regista? Da dove salta fuori questa pellicola? La mano ferma, la recitazione superiore, una sceneggiatura strutturata e tutti quei tipici elementi che caratterizzano le opere che gareggiano nel concorso internazionale sono solo io a non averli notati? Dialoghi un po’ così, un bianco e nero che è di fatto un grigio tono su tono talmente spento da ricordare tristemente quello dei funerali del mese di novembre e personaggi i cui dialoghi non erano abbastanza rilevanti da farci comprendere con immediatezza che ruolo avessero nella storia, ci avrebbero dovuto fare compagnia per ben due ore, ma ammetto di aver dovuto recuperare parte del film in un secondo tempo, cosa che però non ha affatto scalfito l’opinione originaria.

Idea, forse, tra le più originali del genere commedia spazio-temporale (un avanti/ indietro di un bizzarro gruppo di persone) che purtroppo lo sceneggiatore non ha saputo supportare con battute frizzanti e vitali ed ha saputo solo provocare la narcolessia di coloro che si sono cimentati dietro la macchina da presa. Con molto rammarico e senza ulteriore indugio il mio voto finale è un 5 senza appello, per un film c.d. da festival che dubito si spingerà oltre.