I, Anna

© Berlinale

Evento speciale della 62ma Berlinale, la proiezione di “I, Anna”, con la sempre incantevole Charlotte Rampling la cui ultima presenza in città fu in qualità di Presidente della Giuria, ha chiuso una delle mie prime serate di festival. L’attrice è arrivata in compagnia del regista (e figlio) Barnaby Southcombe per presentare la loro prima collaborazione su grande schermo, nonché opera prima: un ritratto realizzato con tristezza, freddezza e realismo di ciò che esiste e non vogliamo vedere. Quando il tempo passa, l’uomo porta con sé il fascino di George Clooney, la donna sola, invece, superati i 50 anni è vista come una disperata “passatella” senza chances di una seconda occasione e da ciò non pare esserci scampo!

La storia è quella di Anna, che tempo addietro ha messo più di un piede in fallo ed ora, nonostante le pesanti conseguenze, non molla e ci riprova. Inizialmente parrebbe fortunata posto che grazie ad un’indagine di polizia in cui inciampa uscendo da un palazzo dopo un primo appuntamento pessimo fa la conoscenza dell’affascinante quanto sentimentalmente incasinato detective Bernie (Gabriel Byrne), che pare ben più impacciato ed arrugginito di lei nell’arte del corteggiamento di mezza età. Più i due si conoscono, più però si insinua il dubbio, emergono punti oscuri e porte che sarebbe meglio non venissero aperte.

I, Anna

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Storia straziante, ma non strappalacrime, con una Rampling in perfetta forma in grado, con un singolo e semplice sguardo, di comunicare efficacemente il disagio meglio di quanto riuscirebbero a fare molti suoi colleghi con a disposizione un intero soliloquio; e un Gabriel Byrne che ci confonde con il suo disorientamento e per cui tifiamo quando, sopraffatto dagli eventi, dovrà rincorrerli come il miglior maratoneta. Perché questo è comunque un thriller con una trama che viaggia su due binari: un primo appuntamento andato male e un omicidio che si insinuerà sempre più nella vita della nostra protagonista, attraverso i cui occhi vediamo tutto ciò che accade.

Tratto dall’omonimo bestseller degli anni ’90 e sceneggiato direttamente da un regista con molto teatro sulle spalle, questo film narra una storia poco allegra e apparentemente ambigua, ma pure affascinante ed intrigante che tiene sulle spine e incuriosisce sino alle sorprendenti ed angoscianti battute finali nonostante il movimento presente sia molto poco. Insomma, un’opera che pare impegnarsi a non avere azione se non quella necessaria, ma che comunque funziona. L’atmosfera è grigia, quasi monocromatica e umida, costruita sulla gestualità e su eloquenti sguardi più che aggrappata a serrati scambi di battute, opprime senza mai soffocare. La narrazione è davvero all’europea, non concilia il sonno anche se sorge più di un sospetto che si volesse ostentare il marchio di fabbrica tutto del vecchio continente: questo è un noir non un thriller e tutti ci tengono a sottolinearlo!

I, Anna

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Missione compiuta, tutti i tratti tipici di una cinematografia di forte influenza francese sono presenti ed ammettiamo che nonostante i silenzi (di cui non sono una particolare fan) una accelerata tutta a stelle e strisce avrebbe davvero stonato. Forse il punto forte sono i soli 90 minuti che non concedono il tempo allo spettatore di farsi sopraffare dalla stanchezza.