È il giorno di San Valentino, siamo a Berlino in pieno festival del film, con un clima impietoso, ma che, per lo meno, ci regala dei cristallini cieli azzurri ed iniziamo la giornata con un sorriso più ampio del solito posta una scaletta che prevede un paio di ore in compagnia della nuova commedia dell’enfant prodige Jason Reitman (quello di Juno e di Tra le Nuvole, n.d.r.).
Mai cantonata fu più grande!

Con Young Adult il giovane regista conferma che il sodalizio con la sceneggiatrice Diablo Cody funzioni con precisione degna del miglior orologino svizzero: quello che ci viene offerto non è un film spassoso, bensì una c.d. dramedy che si chiude in modo beffardo. Un’opera tanto bella quanto graffiante, un triste e disincantato sguardo sulla società odierna ed in particolare sui suoi trentenni, una (tragi)comica e realistica fotografia dalla quale emergono tutti i lati negativi di come viviamo al giorno d’oggi. Eterni fanciulli, irresponsabili, incapaci di relazioni amorose e di mantenere adeguati e/o civili rapporti famigliari, ma in costante ricerca di qualcuno che si prenda cura di noi. Mai veramente adulti, sempre in stato di necessità, soprattutto emotivamente.

Fulcro della narrazione una tanto bella, quanto alla deriva donna, Mavis (una incredibile e credibilissima Charlize Theron), che pur di dar un senso ad un’esistenza mai veramente appagata o appagante, torna in provincia per dare la caccia all’ex, che però nel mentre si è fatto una vita.
Lei era la reginetta del liceo, bella, vivace, acuta che una volta scappata dall’anonima cittadina del Minnesota, in città diviene una ghostwriter di discreto successo. Lui, Buddy (Patrick Wilson), è invece il tipico bravo ragazzo con la testa sulle spalle, inguaribile romantico, buono, fedele ed affidabile, con solido lavoro e famiglia. Oramai sono gli opposti: ieri erano i fidanzatini più invidiati, oggi sono i due lati della medesima medaglia. Tanto uguali in passato, quanto incompatibili nel presente e patetici agli occhi gli uni degli altri.

Mavis è semplicemente insicura, vuole essere amata e per ottenere ciò è disposta a tornare indietro e tapparsi il naso (anche se non è quello che realmente vuole) dato che è giunta alla conclusione che nel mondo reale i suoi sogni rimarranno pura fantasia.
E se la protagonista sullo schermo ha dato forfait, qui fuori vi è davvero una moltitudine di persone che non ha difficoltà ad immedesimarsi col personaggio che sta guardando. Una generazione di (forse) falliti, (sicuramente) molto più soli dei fratelli maggiori, eternamente insoddisfatti, senza riferimenti e speranza soprattutto perché non sanno più a cosa credere.

Reitman è molto lucido e senza troppe scene ad effetto, con una manciata di bravi attori e le giuste movenze e battute talvolta sarcastiche, frutto della sagace penna di Cody, in soli 90 minuti crea un minuzioso quanto asciutto affresco della situazione e chiude con un messaggio che può spaziare da un cinico “le persone nonostante abbiano l’opportunità di cambiare, alla fine non lo fanno per abitudine, per noia, per paura del diverso” ad un ottimistico “non si sa mai quello che il futuro ci riserva, quindi c’è sempre speranza, anche per i casi più disperati”.