Un cast stellare che non sbaglia una battuta per dare vita, colore e forma ad un romanzo di John Le Carré. Anni ’70 che rivivono sullo schermo ed intrighi a palazzo, quello dell’MI6, per due abbondanti ore di thriller dai risvolti drammatici che ruota intorno ad un magistrale Gary Oldman, tanto invecchiato quanto credibile. Uomo dalla vita privata fallita, dimesso e perennemente avvolto da uno sgualcito impermeabile, è di fatto la più arguta delle menti dello spionaggio britannico e l’unico in grado di districare una matassa talmente infittita da apparire inesistente anche agli occhi dei soggetti coinvolti.
La storia prende il via dall’incontro tra un agente di Sua Maestà ed uno di oltre cortina per dare un volto ad una presunta talpa infiltrata all’interno dell’Intelligence britannico, ma l’operazione risulta una caotica e maldestra trappola ed i numeri Uno e Due del così detto Circus, vengono conseguentemente invitati al pre-pensionamento. Sennonché l’unico in grado di comprendere cosa celino le sempre più torbide acque è, appunto, colui che è stato allontanato dal proprio posto: George Smiley.
Non ho letto il romanzo e sarei attanagliata dal senso di colpa se lo imponessi agli avidi lettori presenti in redazione dopo quanto provato in sala. Se da un lato l’effetto stalla ci ha colti di sorpresa ancora prima che la pellicola iniziasse, facendoci sudare non poco, a luci spente la sofferenza ha preso più di una piega inaspettata sino a divenire insopportabile verso le battute finali.
Ma cosa è esattamente andato storto?
Sotto le mentite spoglie di un thriller si cela un’opera drammatica, che vorrebbe portare dentro le nostre case l’umanità, la fragilità e il lato emotivo di uomini come noi che hanno scelto di vivere accollandosi responsabilità e facendo scelte dalle conseguenza emotivamente molto costose. Questo tentativo di dare maggiore spessore ai personaggi, va purtroppo a discapito dell’azione e del ritmo del film che a tratti risulta addirittura noioso, tanto più che l’espressività del cast presente sul set non necessitava del supporto di sovrabbondanti inquadrature.
La narrazione è intricata e lenta sino allo sfinimento, la luminosità è scarsa, il fumo e il buio son troppo diffusi, le informazioni comunicate sono spesso dispersive ed inducono la platea ad un continuo confronto con i vicini per cercare di ricollegare nomi non semplici ai numerosi volti, il che ha l’unico effetto positivo di mantenerci in stato di veglia. Se però a ciò aggiungiamo un caldo soffocante, telefoni cellulari che squillano in continuazione sino ad avere la sensazione che si stia cercando di improvvisare un concerto grosso e un via-vai incessante di gente che ha preso una sala da 400 posti come il deserto salotto di casa propria, scongiurare lo scontro verbale se non addirittura fisico ha richiesto uno sforzo sovrumano!
Chiudo quindi il mio commento con una provocatoria riflessione: mi ha colpita maggiormente non l’eccessiva lentezza e dispersività della pellicola, bensì vedere una vera e propria orda di persone, appartenenti (forse) all’ultima generazione a cui è stato inculcato il concetto di rispetto per il prossimo, comportarsi in modo pretenzioso e strafottente. Accorgersi che nessuno mostrasse fastidio mi ha presa in contropiede: la diversa sono quindi io che quando ho mal di pancia concludo il resto della visione sui gradini del cinema e che non tocco il telefono mentre sono in sala. Sono così anormale? Aiutatemi voi perché in futuro proverò puro terrore a varcare le soglie di cinema in cui non vi siano pellicole così roboanti da impedire tali comportamenti.
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Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
Mah, penso che il cast, ma soprattutto il trailer abbia attirato persone che si attendevano il film “roboante”.
Nel momento in cui hanno capito che non era così, delusi, hanno cominciato a fare salotto… tanto il film non era come se lo aspettavano.
E se ne sono fregati degli altri spettatori.
A parte la maleducazione, la questione è: ma questi film come vengono pubblicizzati? Sicuramente è prioritario fare cassa, ma bisogna anche individuare il corretto target tra i potenziali spettatori. Se il messaggio è sbagliato, vengono persone che poi rimangono deluse e invece altri, che avrebbero trovato il film godibile, non si accostano proprio.
Purtroppo l’asticella del limiti comportamentali continua ad alzarsi……