Primi giorni di Festival, tanta la concitazione, molto l’entusiasmo, totale l’assorbimento, grande la scelta e la voglia di vedere il più possibile e una delle prime notti mi ritrovo a tarda ora inchiodata ad una seggiola di un cinema. Sarà stata la temperatura artica all’interno, la pioggia scrosciante all’esterno o la stanchezza, fatto sta che sono stata folgorata sulla via di Damasco: non sapevo infatti che stavo per assistere al più bel film tra quelli in anteprima.

Red State è tanto breve quanto potente, con pochi fronzoli va dritto al sodo: entro i primi 15 minuti, tre adolescenti saranno già messi in croce. Argomento non nuovo ma affrontato andando controcorrente. Questa è una pellicola politicamente scorretta, che vi porta a non sopportare il predicatore invasato, che avrete di fronte a tutto schermo, per la quasi totalità del tempo. Senza mezzi termini, basandosi su la storia di un vero padre battista, il regista ci propone le vicende di tre adolescenti che, attirati dall’idea di provare il sesso di gruppo, cascano in una trappola via web e si ritrovano a vivere un autentico incubo. Prigionieri nella cantina di una chiesa, non una qualunque bensì quella di una setta di fondamentalisti religiosi che credono di poter estirpare il male dalla società usando le maniere forti, i ragazzi saranno le ennesime vittime di una lotta senza esclusione di colpi in cui il bene più che trionfare riesce a fatica a sopravvivere.

Non pensiate di essere di fronte alla versione religiosa della saga di “Saw”. Nonostante, infatti, la pellicola venga pubblicizzata come horror, qui di orribile vi è solo la storia e il fatto che sia stato romanzato qualcosa che capita di continuo. È un film drammatico sulla stupidità umana e sull’impotenza ed i compromessi a cui devono scendere coloro che cercano di aprire gli occhi agli ottusi. Alla fine il vero dilemma è se utilizzare la loro stessa lingua, e imbracciare il fucile senza troppe remore, oppure rimanere coerenti a quei principi che ci rendono persone civili ma che potrebbero farci soccombere. Perché questa famiglia d’invasati sfoggerà un vero e proprio arsenale in nome del Divino pur di difendere le proprie idee e diffonderle nel mondo!

Il regista Kevin Smith (quello di “Clerks” e di “Dogma”, per intenderci) ci ha sempre abituati a pellicole indipendenti e controcorrente, con ironia già in “Dogma” aveva affrontato temi religiosi, ma qui prende a sprangate senza mezzi termini la società mostrandone un lato spinoso per quello che è e chiudendo il suo film con un finale veramente ironico e spiazzante, anche grazie alla performance sopra le righe di John Goodman, che suona quasi come generale sberleffo.

Il film non sarà perfetto, l’onda religiosa non è la prima volta che viene cavalcata, e l’escamotage della violenza per urlare i messaggi a un pubblico che non vorrebbe sentirli potrebbe sembrare come si suol dire “fare il gioco sporco” ma, grazie anche ad un cast notevole che vede il superlativo duo Michael Parks e Melissa Leo – padre/predicatore e figlia plagiata lottare contro l’imponente agente dell’FBI John Goodman, alla fine risulta semplice, non fastidioso, privo di moralismo e dannatamente ben ritmato con molta più azione di altre opere che avrebbero dovuto essere tali ma non ci sono riuscite.

Promuoviamo quindi a pieni voti l’ultima fatica di Smith e ci auguriamo riesca a distribuirlo al più presto mettendo così anche a tacere le noiose voci discordanti al riguardo.