Il web è oramai costellato di informazioni sui vincitori della 64ma edizione del Festival del Film di Locarno. Direi quindi di fare una pausa e di parlare dei vinti, in particolare di una pellicola che non ha ricevuto neppure una medaglietta, ma che ci ha regalato 81 minuti meritevoli di qualche riga e di riporre speranze che questo film venga proiettato per lo meno in altri festival.
Siamo a Gerusalmme Est e questa volta il muro si vede, ma (di nuovo) è ininfluente, forse conferisce solo maggiore enfasi alla frustrazione della protagonista quando il veicolo che la stava accompagnando all’aeroporto, dove sarebbe dovuta partire per Parigi, fa inversione di marcia. Il motivo è banale, un’emergenza nell’ospedale in cui sino al giorno prima il marito lavorava. Tutto qui, di nuovo nessuna rivendicazione neppure velatamente dall’aspetto politico, solo scorci di vita, di tristezza e di umana solitudine.
Questa pellicola ruota tutta intorno ad una coppia benestante, lei attrice figlia di una madre artista e lui affermato medico non giovanissimo. Lei è bella e tutti la notano, lui sa che non potrà mai fare nulla al riguardo se non forse dedicarle l’attenzione che meriterebbe e che lei stessa oramai troppo frequentemente rivendica. Ma lui persevera a fare davvero poco e a far gravitare tutto intorno alla sala operatoria in cui trascorre la maggior parte del tempo sino al giorno in cui lei non ne potrà più.
È una storia di amore, senza tempo e senza luoghi, in cui Gerusalemme fa solo da sfuocato sfondo, quasi stessimo assistendo ad una delle tante performance teatrali della protagonista. Nour è, infatti, l’ennesima donna forte (e fedifraga) dei film in concorso a questo Festival, regina indiscussa di una vicenda in cui tutti e quattro i personaggi perdono. Assistiamo al loro collasso emotivo, differente secondo la generazione di appartenenza, ma sempre fronteggiato con dignità e senza mai mettere in discussione le motivazioni dell’altro. Vi è accettazione ma non rassegnazione, sia nella madre non più giovane sia nella figlia trascurata, sia nel marito stressato sia nel giovane amante. Tutti hanno fallito ma tutti si rialzeranno un’altra volta.
Tawfik Abu Wael, il giovane (ma non giovanissimo) regista di questa pellicola, con delicatezza ci mostra l’infelicità e la separazione che spesso ne consegue e ci conferma che indipendentemente da quanti sforzi razionalmente si possano fare, a qualsiasi latitudine, a prescindere dalla realtà circostante, le emozioni avranno sempre la meglio e un giorno qualsiasi ci potremmo trovare a tenere comportamenti che potrebbero risultare inaspettati prima di tutto a noi stessi. Senza moralismo quindi, arriviamo a un finale tanto ovvio quanto intenso e inatteso che chiude un cerchio dove si era aperto.
Insomma, un’opera sulla solitudine, sulla borghesia e sui rapporti passivi tipici di questo secolo che in modo disarmante ci mostra quanto alla fine di fronte ai sentimenti, siamo tutti uguali. Forse una pellicola troppo scolastica per piacere ai più, di certo un altro regista che mostra i problemi interni e interiori di gente comune.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”