Dopo sei anni Terrence Malick torna alla regia e vince Cannes! Un capolavoro! Pura poesia!
Se dovessi incontrare il presidente della giuria,il Signor Robert De Niro, gli suggerirei di iniziare a correre, perché qualora lo raggiungessi sarebbero dolori. Ho sofferto come non capitava da anni: due ore abbondanti interminabili, al punto da santificare la RIM! Per la prima volta ho letteralmente chattato mentre ero in sala e quando ho capito che non ce l’avrei fatta, neppure adottando questo stratagemma vergognoso, ho mollato il colpo. Ebbene si, non so come finisca The Tree of Life, mi manca l’ultimo quarto d’ora, ma alla rèunion sulla spiaggia di protagonisti, comparse e non so chi altro, non ho saputo più reggere.
Tra un sussurro ed un sermone, tanta ottima musica che accompagna immagini di una perfezione maniacale. L’alternanza è tra la creazione della vita e la (pseudo) narrazione dell’infanzia di un ragazzino qualunque cresciuto nell’America borghese anni ’50 e ’60. Se quest’ultima risulta lenta, sprovvista di una trama e pressoché priva di dialoghi, ma per lo meno ci offre l’espressività e la recitazione (anche delle rughe) di Brad Pitt e Jessica Chastain (senza dimenticare lo sguardo del piccolo Jack – Hunter McCracken), le parti dedicate alla genesi provocano insofferenza e malumore nel pubblico. Dopo infatti una intro in cui “appare” Sean Penn, si scivola rapidamente nella bocca del più bel vulcano in eruzione che si ricordi, si vaga nei meandri di spettacolari canyon, si assiste ad una mitosi degna del miglior microscopio e subito si vola tra gli splendidi anelli di Saturno prima i tornare sulla Terra in compagnia di verosimilissimi dinosauri ( ) e meduse tanto belle quanto dolorose.
43 (quarantatre) interminabili minuti che disorientano e fanno perdere ogni speranza a chi è entrato. Molte le defezioni volontarie e soprattutto oggi infine comprendo come possa essere accaduto che, per oltre una settimana, a spettatori e proiezionisti (!) di un cinema non sia sorto il dubbio che le pizze fossero state invertite. La prima ora non fa la differenza, o meglio, non da un punto di vista cronologico, bensì solo psicologico: mina irrimediabilmente l’equilibrio mentale delle persone in sala!
Che questo sia l’anello mancante tra il (miglior) documentario ed il (peggior) film? Oppure è solo l’esternazione di un problema molto intimo del regista camuffato da analisi delle proprie (e non solo) origini? Qual’era il messaggio per il pubblico? Quale reazione voleva suscitare oltre al sussulto per le voci fuori campo che si interrogano citando la bibbia o, in alternativa, dispensano suggerimenti di vita sempre sussurrando? Può una pellicola che si trascina essere un inno alla vita?
Dove dovrebbe emergere il genio? Lo riconosco nell’attenzione a fotografia ed al più piccolo dettaglio e nella predilezione per colori caldi, terra ed esterni quando nel passato che si alternano agli interni freddi, grigi ed in vetro del presente, ma nonostante le inquadrature, mai violente, mi ha fatto comunque soffrire. La troppa camera a mano ha provocato il mio primo mal d’auto cinematografico. In quel momento, letteralmente disgustata, mi sono resa conto che se questo è il così detto cinema d’eccellenza, allora che siano X-Men tutta la vita. I concetti di appartenenza, timore per il diverso, fiducia e amore per sè stessi, aiuto reciproco e via discorrendo affiorano efficacemente, tra un sorriso e l’altro, con semplicità, senza alcuna pretesa di essere pellicola impegnata e lasciando un ricordo leggero.
Ennio Flaiano amava ricordare che “Il cinema è l’unica forma d’arte nella quale le opere si muovono e lo spettatore rimane immobile.”, ed è Vissia ad accompagnarci con passione e sensibilità nelle mille sfaccettature di un’arte in movimento. Ma non solo. Una guida tout court, competente e preparata, amante della bellezza, che scrive con il cuore e trasforma le emozioni in parole. Dal cinema alla pittura, con un occhio vigile per il teatro e la letteratura, V. ci costringe, piacevolmente, a correre per ammirare un’ottima pellicola o una mostra imperdibile, uno spettacolo brillante o un buon libro. Lasciarsi trasportare nelle sue recensioni è davvero facile, perdersi una proiezione da lei consigliata dovrebbe essere proibito dal codice penale. Se qualcuno le chiede: ma tu da che parte stai? La sua risposta è una sola: “io sto con Spok, adoro l’Enterprise e sono fan di Star Trek”
Veramente una pellicola difficile. Certamente non lascia indifferenti.
Due ore faticosissime! Non rimpiango d’aver lasciato la sala anzitempo.
Un prodotto di “sartoria su misura”: autocelebrativo!
A bologna, il film era così semplice e chiaro che per una settimana interna hanno priettato il film con delle scene invertite e nessuno se ne è accorto! :)
http://www.gexplorer.net/notizie/2011/06/the-tree-of-life-il-film-proiettato-al-contrario-per-una-settimana-nessuno-se-ne-accorge/
:-) Singolare vero?
Quando però un rullo è, di fatto, un documentario che differenza vuoi che faccia vederlo la prima ora o la seconda?
semplicemente uno dei film più brutti e burini mai visti! malick prima di affrontare il tema della grazia avrebbe dovuto vedersi l’opera omnia di bresson…
Felice di non essere l’unica ad averlo trovato pretenzioso e un po’ snob ;)