Udine, Gemona, Venzone. Per qualcuno, punti sulla carta geografica, persi nel NordEst. Per altri, ricordi di un dramma di 35 anni fa e modelli esemplari di ricostruzione.

Nel maggio del 1976, quando la terra si spaccò ed inghiottì intere cittadine, ero comodamente cullato dalla pancia della mamma. A settembre dello stesso anno, una nuova e più potente scossa rase al suolo tutto ciò che era stato ricostruito in quattro mesi. Un colpo che avrebbe costretto intere popolazioni all’emigrazione, ma non i friulani. Ancora lacrime, poca commiserazione e maniche rimboccate, a ricostruire tenacemente.

Nell’ambito del Far East Film Festival di Udine, la proiezione del film “Aftershock”, su cui lascerò la tastiera a V., completa questo percorso di ricordo. A prescindere dal giudizio sulla pellicola e, inevitabilmente, sul grado di libertà dei registi cinesi, assistere in un teatro friulano ad una realistica rappresentazione di un devastante evento sismico non poteva lasciare indifferenti.
Alf76

L’emozione in effetti è presente in sala. E dopo la visione di questa pellicola è comprensibile che abbia stracciato la concorrenza, conquistando il podio. Complice (forse) l’essere stata nelle prime file del Teatro, l’effetto delle immagini iniziali di distruzione, della terra che trema senza alcuna intenzione di fermarsi per pochi ma interminabili minuti, è da brivido e all’arrivo dello tsunami l’angoscia è totale! Perché le persone al mio fianco son cresciute con i racconti e le ripercussioni del terremoto del Friuli e perché le immagini del Giappone sono molto, troppo, recenti per non condividere la scelta dell’organizzazione del festival sotto il duplice aspetto di destinare parte dei proventi a quel paese e di proiettare proprio il 6 maggio un’opera simile.
 
Film catastrofico in tutti i sensi: per le realistiche immagini, che nulla hanno da invidiare ai colossal americani (anzi, talmente accurate e sprovviste della sensazione di essere di fronte ad un modellino che sta affogando in una vasca da bagno, da farci definire gli effetti come special-issimi) e per il taglio, lontano dai cartoon o, come si suol dire, poco disaster e molto drama movie. Si perché tutto ruota attorno alle conseguenze di questo evento su una famiglia, quindi dopo la spettacolare parte iniziale il registro diviene a tutti gli effetti quello di un film drammatico. Estremamente dignitoso, non strappalacrime e coinvolgente forse proprio per la fierezza con cui prosegue.
 
Basato su fatti realmente accaduti (il terremoto che nel 1976 rase al suolo Tangshan e provocò 250.000 morti) ed ispirato al racconto di Zhang Ling, presenta una prospettiva molto particolare, quella di una famiglia, appunto, distrutta e divisa per sempre dal cataclisma. Per tutto il tempo si alterneranno sullo schermo le vite delle due metà, due fanciulli, con in mezzo una madre straziata dal dolore per le scelte fatte nei drammatici momenti di devastazione, sino alla resa dei conti.
 
 
Nessuna denuncia politica in evidenza, non so se per un fattore culturale o meramente politico,ma si focalizza sull’essere umano e sulla sua anima, senza alcun accenno alla realtà cinese.
Il rancore, in casi estremi può essere giustificato? Il perdono è davvero necessario per proseguire con la propria vita? È possibile superare la paura e distruggere i demoni del passato? Oppure solo attraverso il calvario del senso di colpa si può andare avanti? Drammi esistenziali, scegliere di essere infelici, riuscire a chiudere capitoli dolorosi della propria esistenza sono infatti il vero fulcro di una pellicola che mai, durante tutti i suoi 122 minuti, dimentica il dramma all’origine della vicenda. Film equilibrato, diretto da mani ed occhi con esperienza, anche se a noi il nome Feng Xiaogang non apre alcun cassetto della memoria. Effetti speciali realistici e spettacolari per delineare l’essere umano: una fotografia che dalla delicatezza e leggiadria arriva sino al cinismo. Ecco cos’è “Aftershock”, l’ennesimo film asiatico che probabilmente non verrà mai distribuito : - (