Non c’è che dire, sono una donna fortunata: FPU carichissimo che non si tira mai indietro quando c’è da esplorare una nuova regia e così facendo mi concede delle insperate pause, e ora pure un ospite a sorpresa che non solo è un Giornalista (anche appassionato di cinema!) ma soggiace col sorriso alla “democratica” decisione degli autori di Alfonso76 di commentare lui il primo lungometraggio della domenica festivalina: 3 BACKYARDS : - )

Nella vita si corre il rischio di perdersi, o semplicemente di perdere qualcosa. È quello che capita a tutti i protagonisti di 3 Backyards, seconda opera del regista statunitense Eric Mendelsohn. C’è chi (una
bambina) abbandona per sbaglio un oggetto da regalare alla madre nel giorno del suo compleanno, chi invece (il padre) non riesce a salire sull’aereo. C’è chi si perde effettivamente (un cane) e chi infine (un’attrice forse in esaurimento nervoso: non la fanno più lavorare?) non trova più da tempo la sua umanità, nascosta dietro uno stizzoso velo professionale . Insomma, tutti hanno perso qualcosa, che alla fine della storia troveranno, nel bene o nel male.
Questo il plot della pellicola del giovane autore, unico ammesso al festival milanese con un’opera seconda. Ma ci sono altri tre aspetti, questa volta tecnici, a rendere interessante il film, anche in questo caso nel bene o nel male (nel senso che possono piacere oppure infastidire, a voi la valutazione): a partire dall’utilizzo continuo di carrellate e zoom (pochi infatti i piani sequenza fissi, utilizzati per lo più per focalizzare l’attenzione su un oggetto o per dare uno stacco alla sequenza); ma anche  l’impiego della musica, quasi sempre presente, a volte a sottolineare una drammaticità che in realtà non c’è,  provocando così un effetto curioso; infine, l’uso della cinepresa (una red camera digitale?) che inquadra spesso il sole, direttamente o indirettamente (tra i rami degli alberi), incurante dei risultati visivi (aloni di luce e sbiancamenti, utilizzati magari come effetto di transizione tra una sequenza e l’altra del film.
In definitiva, un film che può piacere molto o non piacere affatto, ma che andrebbe comunque visto. Perché in un momento in cui soprattutto al di là dell’Atlantico gli autori latitano, Eric Mendelsohn è un regista da tenere d’occhio. (IlGiornalista)