Quando sei inchiodato in casa da un mal di testa che spappola il (poco) cervello, fa bene avere un paio di occhi non propri che indagano il mondo e la cinematografia.

Quando questi occhi si concentrano sulla visione del film tratto da “Uomini che odiano le donne”-  di Stieg Larsson – il risultato rischia di essere ancora più interessante.

Quando questi occhi appartengono a chi il libro non lo ha letto e – particolare assolutamente rilevante – è donna, l’interesse sale esponenzialmente.

Premessa essenziale: chi mi scrive mastica SAW in tutte le sue versioni, fa colazione con American Psycho senza rimettere i cereali e non è, di conseguenza, particolarmente impressionabile.

Cosciente che in sala eravamo probabilmente in cinque a non aver letto il libro, da profana sono stata positivamente colpita dal prodotto tutto europeo: regia che ha perfettamente ritmato  2h30 min di storia, colonna sonora che non ha sbagliato un colpo (è proprio il caso di dirlo: il colpo di fucile ha fatto sobbalzare pressoché tutti e dato che per i più la scena era prevedibile… un “mission accomplished” è dovuto), attori efficaci e fotografia tipicamente nordica (luci, colori, effetto hd così freddi da rendere ancor più forte il messaggio). Insomma, se nei titoli di coda ci fosse stato scritto FOX nessuno avrebbe storto il naso!

Come avrai a questo punto previsto, ho lasciato per ultima la visione personale del film: Larsson era un uomo e fortunatamente anche il regista così è rimasta integra la prospettiva tutta maschile che per una donna si è trasformata in un gran pugno nello stomaco pagando il  biglietto. Se il messaggio era “gente, il mondo è sovraffollato di squilibrati!” esso è arrivato forte e chiaro allo spettatore; però mi domando se fosse necessario tramortirci. Se io – amante di SAW e simili, sono rientrata a casa con voglia di vomitare, ipersensibilità ai rumori della notte e timore degli incubi, forse qualcosa non va, non credi?

Lo trovo più che interessante, e mi ha fatto porre qualche quesito alla mia memoria: ma il libro di Larsson aveva questa forza violenta, questa angosciante ricerca dell’immagine sensazionale, dell’impressione a tutti i costi? Ho scavato nei ricordi e mi sono risposto che no, probabilmente no; non ricordo della pagine particolarmente disturbanti. Forti si, in alcuni passaggi pesantemente scioccanti, ma mai gratuite.

“Immagini efficacemente crude, lunghe inquadrature, troppo soffermarsi sul prodotto della violenza. (…)
Un paio di volte ho avuto morsa allo stomaco e una gran voglia di vomitare ed è stato in quelle occasioni che girandomi ho visto e sentito le reazioni di altre persone in sala … mi son resa conto che è un casino essere donna!”

E’ una splendida osservazione, corroborata dalle occhiate lanciate in sala e dalle chiome femminili che si giravano in alcuni passaggi del film; anche qui, mi sembra di poter sottolineare come nel testo di Larsson il rapporto uomo-donna non si esaurisse nel (prevedibile) scontro fisico annunciato dal titolo del film, ma riuscisse a spingersi verso qualche analisi un po’ più profonda. Tra tutte, quella nel rapporto fra il giornalista Blomkvist e Lisbeth, vera protagonista dei romanzi di Larsson, vero e unico personaggio ben tracciato, memorabile, impossibile da dimenticare.

Già, ma Lisbeth?

Da ultimo mi chiedi del personaggio femminile: per metà film sei in attesa di comprendere come mai ci sia personaggio marginale con così tante inquadrature le cui vicissitudini sono fuori contesto  e alla fine ti rendi conto che non ha mai assunto completamente il ruolo di spalla.

In questo senso mi aveva già fatto pensare il trailer; che sarà anche un trailer, per l’amor del cielo, ma mi aveva colpito per un paio di motivi: Noomi Rapace è bellissima, ma fa perdere un po’ di quella ambiguità androgina che rendeva Lisbeth così affascinante. E si calcava eccessivamente sul “libro culto”, sui milioni di copie vendute, su suoi lettori.

Puzza un pochino di film da richiamo, da botteghino e file chilometriche, da “ho letto il libro, non posso mancare la prima visione”; sarebbe stato più opportuno, forse, tralasciare inutili sadismi e lasciare che a raccontare quella storia fosse una donna, perchè:

perché mai dovrei perdere tempo a leggere di traumi femminili raccontati da un uomo – nemmeno appartenente alla mia cultura – quando mi  basta alzare la testa? ti faccio una domanda: ho mai preteso di conoscere l’effetto di un calcio nei coglioni? io le palle non le ho e nonostante avrò sentito 1000 racconti e conosca il dolore fisico QUEL dolore non lo proverò mai (la prospettiva distorta è inevitabile !)